Chissà cosa avrebbe detto Sergio Corbucci. Il suo Django, personaggio interpretato da Franco Nero nel '66, in passato vestiva i panni di un orfanello giapponese, testimone del brutale conflitto tra Genji e Heike in un villaggio fantasma del 12° secolo. Questa la trovata forse più originale nei 121' di Sukiyaki Western Django, sorta di omaggio/prologo che il regista di culto Takashi Miike ha voluto confezionare per portare i "macaroni western" - come venivano chiamati in Giappone quando venivano trasmessi in Tv - anche sul suolo nipponico. Lo straniero senza nome (Hideaki Ito) e, ai lati, due clan rivali in lotta da tempo per impossessarsi di un prezioso tesoro nascosto nella desolazione di uno sperduto villaggio sui monti giapponesi: i rimandi si sprecano, le citazioni si rincorrono in un (discutibile) mix postmoderno di azione e rocambolesche gag, figlie di un "tarantinismo" ormai dilagante, talmente ingombrante da prevederne anche la presenza - in carne ed ossa - quando è chiamato ad interpretare Piringo, personaggio che introduce il racconto e che, in un gioco di raccordi poco congruente dal punto di vista temporale, scopriremo in seguito essere centrale per la vicenda. Al fascino del "modaiolismo di nicchia" non sembra più salvarsi nemmeno Takashi Miike, inghiottito nel vortice dell'esaltazione contemporanea di un passato ormai irriproducibile. O, quanto meno, non modificabile in questi termini.