Partiamo dall’album Nebraska del Boss, del 1982. La seconda traccia del disco è la stupenda Atlantic City, che sembra anche evocare il capolavoro Atlantic City, U.S.A. di Louis Malle. Si parla di amore e malavita, e c’è il bellissimo verso: Everything dies, baby, that's a fact, but maybe everything that dies someday comes back (Tutto muore, tesoro, questo è certo, ma forse tutto ciò che muore un giorno ritorna). Ed è in questo eterno ritorno che Springsteen sprigiona la sua forza. Le sue note sono ancorate al pianeta che abitiamo, e hanno il potere di raccontarlo con l’afflato di chi conosce anche altri universi.

Era solo questione di tempo prima che Springsteen avesse il suo biopic di finzione. Aveva fatto un cameo in Alta fedeltà di Stephen Frears, in cui a un certo punto aveva un dialogo onirico, mentre suonava, con il protagonista interpretato da John Cusack. Le sue canzoni sono state usate nel musical Blinded by the Light – Travolto dalla musica di Gurinder Chadha, e nel 2019 è passato anche dietro la macchina da presa con Thom Zimny per dirigersi nel documentario Western Stars, incentrato sul suo omonimo album.

Adesso a prestargli il volto in Springsteen – Liberami dal nulla è il divo di The Bear: Jeremy Allen White. La sua interpretazione è vigorosa, struggente, nettamente superiore rispetto a Rami Malek (Freddie Mercury in Bohemian Rapsody) e Taron Egerton (Elton John in Rocketman). Sembra davvero di rivedere il Boss, in particolare durante la registrazione di Born in the U.S.A.. Ma dov’è invece lo spirito di uno dei più grandi cantori del nostro tempo?

Quello di Springsteen è un eterno movimento, è il profondo significato dell’on the road, che affonda le radici anche nella letteratura, da Steinbeck a Kerouac. È un aedo, uno di quei giganti che cavalca per la prateria con la chitarra a tracolla. Nei suoi concerti è instancabile, mai sotto le tre ore. In Springsteen – Liberami dal nulla a trionfare è la grande musica, ma il film è troppo convenzionale per abbracciare l’anima di un gigante. Siamo lontani da A Complete Unknown, ma anche da Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line sempre di James Mangold. Il racconto è intimista, si concentra su un periodo ben definito della vita del Boss. Si sofferma sulla sua depressione, sulla difficoltà nello stare al mondo.

Ma al regista Scott Cooper (che padroneggia la materia, il suo esordio era stato il toccante Crazy Heart) manca la voglia di riscrivere le regole, di inventare qualcosa di nuovo rispetto ai suoi predecessori, soprattutto in questi anni di “musicarelli” ad alto budget. Assistiamo ai tormenti della star, a uno dei capitoli più importanti e oscuri della sua carriera. Il mondo resta sullo sfondo, la macchina da presa si concentra su un universo ristretto, che sembra una prigione dettata dal talento, come nella maggior parte dei titoli legati al filone. Purtroppo Springsteen – Liberami dal nulla si infiamma solo quando risuonano le grandi hit, poggiandosi sulle spalle robuste e sulla voce sorprendente di un ispirato Jeremy Allen White.