Prima o poi esploderà. E' così enorme e fastidioso il baratro tra ricchezza e povertà, benessere e indigenza, felicità (di pochi) e dolore (di molti), sono così stridenti le diversità, le angosce quotidiane tra chi deve decidere da quale pista scendere e chi deve scegliere quale paio di sci o di guanti rubare, che la collisione è inevitabile. E con la collisione, il peggio. Dolente e appassionante è il film di Ursula Meier: l'esplosione non avverrà nella stazione sciistica delle Alpi dove lo scaltro Simon ruba ai turisti ricchi per sopravvivere e far sopravvivere la giovane sorella (?) con la quale condivide disagevoli giornate, mete a brevissimo raggio (il pane, un letto, una carezza), rabbia covata, disprezzo per gli altri. Tutti sono complici, tutti sono vittime: ladri e derubati, l'immoralità del furto e quella della povertà, del benessere buttato in faccia a chi non lo conosce e non lo gode, la vertigine di tante esistenze (troppo ricche o troppo povere), colmato dalle vacanze per alcuni o dalla rabbia per altri. Ursula Meier dice di aver girato un film "verticale" e questa vertigine, questa salita e discesa, questo vuoto tra l'alto e il basso, scandisce tutte le immagini e i dialoghi, i volti e i gesti: in alto c'è il dominio bianco e luminoso di chi sta bene, in basso le zolle di terra sporca e grigia di chi sta male (una differenza anche geografica ed estetica, non solo antropologica); la funivia che collega i due mondi è il mezzo per Simon di andare a procacciarsi oggetti e grana e per il turista di divertirsi e poi tornare ai caldi chalet. Tutto ha una potente e formidabile forza narrativa, a cominciare dalla sorella e dal fratellino: Léa Seydoux (reduce da Midnight in Paris e Mission Impossible 4), stretta in una giacca a vento di lusso, ovviamente rubata, che scalda un corpo spesso venduto, e ovviamente affamato; Kacey Mottet Klein, che potrebbe passare per il discolo della porta accanto, se non fosse, invece, alla sua tenerissima età un piccolo farabutto che ruba, smercia, mente, soffre e non piange, non si lamenta e non si pente mai. Non si parteggia per lui e per lei, non si parteggia per la ricca inglese in vacanze coi figlioletti, lo sciatore violento che pesta di botte Simon, il cuoco inglese che è complice dei suoi furti, il fidanzato della sorella che gli fa provare l'ebbrezza di una BMW e lo schifo della sua passione interessata.Come per il precedente Home, Ursula Meier lega azioni e reazioni agli ambienti che le accolgono e le respingono, creando continue frizioni che si amplificano e scintillano più coi silenzi che con le parole, gli sguardi più che le espansioni, le attività nascoste e per nascondere, più che gli espliciti riconoscimenti delle persone per ciò che sono realmente e ciò che fanno di bene e di male, le loro paure (d'essere derubate o essere ladri), le illusioni incoscienti di chi è sicuro che nulla cambi e chi lotta perché tutto cambi. La funzione etica e sociale di questo film, indubbia, è non soltanto quella di esplorare e contestualizzare rapporti umani e familiari (di tutti) portandoli alla soglia della dignità. Ben più marcata è quella di grattare certezze e coscienze. Tutto espresso con grazia, sottigliezza psicologica, non rivendicazione delle colpe, molta ansia di giustizia.