Il grande provocatore del cinema Abel Ferrara nel suo ultimo lavoro Siberia, presentato al concorso della Berlinale, mescola fiction e autobiografia, rinunciando ad una struttura narrativa. L'indecisione è un elemento costante in Siberia. Bisogna stupirsi dell'audacia di Abel Ferrara o indignarsi della sua audacia? Durante la proiezione stampa, un flusso costante di giornalisti si è aperto la strada verso l'uscita. Cosa che sicuramente non disturberebbe il regista. Qualunque cosa si pensi del provocatore Ferrara una cosa non si può negare: il suo lavoro è sempre stato dettato da una coerenza inflessibile.

I suoi progetti non tracciano una chiara linea di demarcazione tra privato e finzione, a volte non li separa nemmeno. Siberia e il suo film precedente Tommaso, sono opere complementari. In Tommaso Ferrara mostra un artista, interpretato da Willem Dafoe, che lotta con il suo ruolo di padre e lavora allo stesso tempo a un nuovo film.

Le esplosioni di ispirazione di Tommaso, in Siberia diventano realtà cinematografica.

Il personaggio principale in Siberia, Clint, ancora una volta Dafoe, con il quale Ferrara ha ormai realizzato sei pellicole, gestisce un pub in un gelido luogo isolato. La luce fioca del bar attira diversi ospiti nella capanna. Un Inuit ordina un rum, un boscaiolo armeggia con la slot machine.

All'improvviso c'è un orso che sembra fare a pezzi Clint. Ferrara lo mette in scena con una camera talmente movimentata che all'inizio ci si chiede se ci siano problemi con la proiezione. Ma no.

Il regista, che ha scritto la sceneggiatura con il suo comprovato coautore Christ Zois, segue semplicemente la sua intuizione. Soprattutto quando lascia che Clint porti la slitta trainata da cani nel deserto di neve in cerca del suo vero io. Anche qui il film funziona come una controparte di Tommaso. Mentre lì il protagonista cerca di lasciarsi alle spalle il suo passato per funzionare come marito e padre nel presente, il presenta in Siberia scompare.

È qui che inizia il viaggio negli abissi della psiche, il più ambizioso dei ripetuti tentativi di auto-analisi del tormentato Ferrara.  Clint scende in scantinati e caverne come in cerchi dell'inferno che si aprono dentro di lui. Immagini della sua memoria si incastrano in desideri e paure che danno a Willem Dafoe l'opportunità di immergersi profondamente in un ruolo che a sua volta si ramifica in diverse incarnazioni.

A volte appare come il padre di Clint, con la crema da barba sul viso e una pistola in mano, a volte come suo fratello - o il ragazzo con il cappello di lana è solo una parte oscura della stessa anima di Clint?

Dafoe che con le sue straordinarie espressioni facciali e intonazioni dà magistralmente forma ai diversi personaggi, dimostra ancora una volta la sua capacità (immensa) di manovrare lo spettattore attraverso il film, in questo caso una seduta di psicoterapia del regista.

Se nell’arte è un errore esiziale confondere i personaggi con il creatore, con Ferrara è esattamente quello che si deve fare. In Siberia, come in Tommaso, fa addirittura apparire la sua vera famiglia sullo schermo.

La figlia di Ferrara è la figlia di Clint e sua moglie Cristina Chiriac è una viaggiatrice che si esibisce al bar. E naturalmente arriva il momento della sessualità, quando la donna con petto e ventre nudi scompare col barista alla luce del fuoco.

C'è qualcosa di stancante nella necessità di Ferrara di doverci testardamente mostrare in ogni film la nudità (l’ossessione dei seni) dei suoi personaggi femminili.

Il regista alla fine sembra voler venire incontro al suo pubblico.  Con dettagli umoristici, lascia che la serietà terapeutica del film diventi fragile, ad esempio quando ci mostra i cani da slitta che guardano i girotondi delle apparizioni o il pesce che giace in una padella e parla berlinese. Siberia è appunto anche una coproduzione tedesca.