Un pescatore messinese che raggiunge i centosessant'anni, una ricostruzione post terremoto che richiede più di cento anni: qual è la vera anomalia? Termina così Scossa, progetto cinematografico sul terremoto che nel 1908 rase al suolo Messina e Reggio Calabria. Concepito nel centenario della catastrofe da alcune grandi voci del cinema italiano, il film è presentato Fuori Concorso alla Mostra nell'anno delle celebrazioni dell'Unità d'Italia.
Non si tratta di una mera coincidenza: l'intento dichiarato dei registi, ribadito in conferenza stampa, non è soltanto riflettere sull'inefficienza dei soccorsi o sulla lentezza della ricostruzione. Raccontandoci l'evento che scosse l'Italia in quell'anno fatale, Lizzani, Gregoretti, Maselli e Russo scavano tra le macerie per rinvenire le ragioni che hanno reso il Paese ciò che è oggi. Abbiamo così una madre che attende l'arrivo dei soccorsi (Speranza, di Carlo Lizzani); l'intellettuale piemontese Giovanni Cena che documenta la tragedia viaggiando attraverso la Calabria (Lungo le rive della morte, di Ugo Gregoretti); un galeotto alla ricerca disperata di moglie e figli (Sciacalli, di Citto Maselli). Infine, seguiamo l'instancabile pescatore Turi, sfollato e minacciato di esproprio del capanno, alla ricerca di una casa (Sembra un secolo, di Nino Russo).
Nonostante le buone intenzioni, i racconti di Scossa peccano di discontinuità e risultano poco coinvolgenti, anche a causa di scelte stilistiche immotivate – un bianco e nero fortemente irrealistico, scenografie che ricordano sfondi teatrali. L'unico momento di commozione (e indignazione) arriva alla fine: la pellicola ritorna al colore del momento presente mentre l'anziano Turi percorre il dedalo di vie delle baracche sul litorale messinese, abitate ancora oggi dai discendenti degli sfollati. Dopo un'insieme di racconti faticosamente ricercati e privi di autentiche scosse, Sembra un secolo ci regala finalmente un ritratto fulminante - e sconsolante - del nostro Belpaese.