Una compagnia di nove attori che impersonano gli stessi personaggi, riprese in digitale, troupe fissa, a cambiare le città della Scozia che fanno da sfondo alle vicende. Queste le regole imposte da Lars Von Trier ai registi chiamati a realizzare un trittico sulla solitudine e il disagio denominato Advanced Party. Andrea Arnold, vincitrice di un Oscar nel 2004 con il corto Wasp, è la prima ad aver accettato la scommessa e sfruttato al meglio le direttive arrivando a strappare con Red Road il Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes. Carta vincente la protagonista principale Jackie, una donna dotata di una personalità talmente forte e complessa da rimanere attaccata alla pelle una volta usciti dalla sala. Jackie ha un lavoro particolare: da monitor collegati con l'esterno sorveglia ogni angolo di una Glasgow cupa e strapazzata dalla miseria. Giorni e notti davanti allo schermo finché nel volto di un uomo sembra riconoscere il pirata della strada che, pochi anni prima, le ha ucciso il marito e l'adorata bambina. L'intuizione è giusta, si tratta proprio dell'assassino uscito dal carcere per buona condotta. Allora Jackie comincia a seguirlo, a piedi e con le telecamere, spingendosi fino alla seduzione dell'uomo con il quale fa l'amore per poi accusarlo di stupro. Ma Jackie non ha fatto i conti con l'umanità che alberga in lei e quello che sembrava un film sulla vendetta si trasforma in un'esplorazione della solitudine e dell'isolamento che lascia aperto un interrogativo su tutti: sono maggiori le responsabilità personali o quelle della società? Il perdono scelto da Jackie nel finale dimostra che il singolo ha infinite possibilità di riscattarsi, ma il mondo intorno non sempre è in grado di ascoltare grida di sofferenza e richieste di aiuto. Vittime e carnefici di Red Road finiscono in questo modo per somigliarsi, uniti da quel medesimo senso di sconfitta che affratella ad esempio i tanti eroi delle opere di Loach. Un esordio che lascia il segno dunque. Una regista di cui si sentirà certamente parlare.