Di fronte alla macchina da presa due gruppi contrapposti: da una parte alcuni aspiranti scrittori e dall'altra Jana, prostituta per scelta. Due mondi che più diversi non si potrebbe immaginare, benché Jana sia stata scelta per essere il punto di origine di un'ispirazione creativa di cui i giovani autori sembrano avere un gran bisogno.
Questo almeno è lo spunto che ha portato Wilma Labate a tentare lo strano mélange. Ma Jana non è una persona qualunque, infatti partita con il ruolo apparentemente più difficile mano a mano fagocita lo schermo e non meno le personalità poco incisive dei suoi interlocutori. Che si dimostrano impreparati ad accettare gli aspetti meno convenzionali della vita altrui.
Il fatto è che Jana ha una incredibile capacità di mettere gli altri a confronto con i propri fantasmi, un'attitudine affinata in anni di lavoro a contatto con le debolezze degli uomini, intesi in questo caso come genere maschile. Non che con le donne si trovi in difficoltà, anzi. Alle prese di posizione moralistiche delle artiste in erba risponde con pari efficacia e determinazione, mettendone in luce limiti e scarsa sensibilità. Una figura straordinaria, che inevitabilmente mette in ombra il resto della compagnia.
Difficile stabilire se la regista abbia avuto ben chiaro quale sarebbe stato il finale dell'incontro/scontro, però abilmente si adegua alle circostanze. Il risultato dell'indagare finisce infatti per essere, oltre che l'incredibile ritratto di un'indomita, l'analisi puntuale delle ambizioni artistiche e intellettuali di tanti giovani impreparati ad affrontare la vita vera. Un lavoro risolto a base di verità mostrate e parimenti di non detti, come in una seduta di psicoanalisi. E il riferimento è più che mai appropriato in quanto l'occhio della regista scava nell'anima restituendo turbamenti che non lasciano insensibili.