Percoco – Il primo mostro d’Italia, è un cortometraggio di (quasi) due ore. Macabra storia vera che di un giovane pugliese che sterminò la famiglia negli anni Cinquanta, è tratta dal romanzo omonimo di Marcello Introna (Mondadori). 

Sforbiciando l’adolescenza del protagonista su cui si dilunga libro, Ferrandini, per masochismo e sfinimento, si mette a documentare ora per ora gli otto giorni dopo il fattaccio: pronti via, nella Bari marinara spazzata da una burrasca (sì, ahinoi, è anche “simbolico”) il ventiseienne Franco Percoco (Gianluca Vicari) ha appena trucidato nella camera matrimoniale padre, madre (e poi si scoprirà) pure il fratellino. Ce lo segnala cosa? Il palmo insanguinato e fasciato (sic). 

Agguantato, poi, il salvadanaio di casa, il sicario impenitente se la spassa: ristoranti da nababbo in riva al mare, fiumi di cognac, abiti di lusso, giradischi, cortigiane d’alti postriboli, scampagnate in macchina con la candida promessa sposa e il migliore amico (anche lui in dolce compagnia).

Tutto come niente fosse, anche se la fotografia agée (Filippo Silvestris) piena di colori caldi, mitragliandoci di primi piani fa di tutto per segnalarci l’apparente imperturbabilità del protagonista: Franco è cerimonioso e altero, impassibile e urbano con chiunque. Insomma, se non fosse per la mano fasciata e l’onnipresente, lugubre (più che terrificante) colonna sonora, saremo di fronte ad una perbenista soap medioborghese che fa le fusa all’Italia del boom.

E invece? E invece il nostro eroe, negli amori da postribolo cerca l’indimenticata prostituta Anna -notevole la scena di seduzione sulle note di Malafemmena-; la portinaia (scimmiottando Una giornata particolare?) e i conoscenti non si bevono la scusa della fuga alle terme di Montecatini di mamma e papà; l’innocente fidanzatina tira fuori dal forno una teglia di vermi; la rabbia dei vicini ci segnala che il puzzo dei cadaveri si sta diffondendo per l’edificio. Franco, così, perde il controllo della situazione.

Con questi elementi Ferrandini vorrebbe costruire la suspense, per di più la regia, statica e macchinosa, distillando fino allo sfinimento i già debol(issim)i snodi narrativi, ci accompagna verso il finale con una lentezza narrativamente (anche volendo) ingiustificata e deleteria. Perciò, dopo un quarto d’ora (ma anche meno), gli ingredienti per il true crime psicologico (Hitchcook, perdonaci) sono già tutti scodellati. Ma il cineasta (anche sceneggiatore) con un’ostinazione ammirevole se non fosse imbarazzante, non volendo (giustamente) illustrare il romanzo, insiste imperturbabile, passeggiata dopo passeggiata, bordello dopo bordello, scampanellata dopo scampanellata ad appassire tutti i boccioli di tensione.

Così, quando finalmente (!) si squarcia il velo della menzogna e della noia, di come e perché la famigliola è finita in un bagno di sangue – sapendo già e intuendo tutto ad nauseam- non ci interessa più niente; dello psicologismo edipico (che sarebbe il vero motore del film), delle ferite, dei traumi del protagonista sbevazzone non c’è traccia, né esegesi. Il primo mostro d’Italia, così, figurina monocorde senza rotondità (per non parlare di certi altri personaggi...), non suscita né orrore né empatia, ma invita a una condanna sommaria e ultra moralistica della violenza. E, messa così, non è proprio una medaglia da appendersi al collo.

Il film, insomma, inizia a carte fatte e finisce con otto giorni di ritardo. Ferrandini ha setacciato tutti gli archivi per riscostruire il delitto e padroneggia la cronaca, va ammesso, con una dovizia da applausi, ma per dimostrarcelo, confonde drammaturgia con ricostruzione, tensione narrativa con la fedeltà ai fatti.

Manca la storia, insomma. E anche lo sguardo autoriale. Per fortuna, però, c’è la raffinatissima Bari anni Cinquanta travolta dalla febbre del boom, tra i palazzi d’epoca e i tavolini sul mare, tra il Petruzzelli e i lupanari, tra androni arabescati e dame ingioiellate. In una margherita di panoramiche e campi lunghi scopriamo con grazia questa matrona altera e irresistibile, nobiliare e sfuggente, mai degnamente celebrata dal nostro cinema. Chissà se fosse stata protagonista unica del film...