Il "Giardino del Paradiso" è un polveroso torrido agglomerato di baracche in una valle a pochi chilometri da Lima. Una terra senza speranza dalla quale un gruppo d'adolescenti cerca ogni giorno il modo di fuggire. Hector Galvez, documentarista, direttore della fotografia, sceneggiatore, esordisce nel lungometraggio con un teen movie impastato di sangue e di lacrime. Tra le bande rivali che si ammazzano ogni notte, i tetri ricordi, vicini e terribili, delle angherie e degli assassini dei "terroristi " e dei militari, l'inerzia degli adulti e l'inaccessibilità d'ogni speranza Mario, Sara, Antuaneta, Joaquin e Lalo trascorrono giorni tutti uguali in equilibrio precario tra la vita e la morte. Se l'utilizzo della luce e la partitura cromatica, la scrittura dei dialoghi e la direzione dei giovani attori dimostrano tutti una solida efficienza, è nella regolazione della distanza della macchina da presa rispetto agli interpreti che Galvez fonda la cifra migliore del suo stile sobrio, duro ed emozionante. Dal campo lungo sul gruppo di giovani riuniti insieme per l'inaugurazione della nuova baracca di Mario, al primissimo piano del volto incantato e rapito di Joaquin intento a osservare le acrobazie del trapezista del circo, la macchina trova sempre una posizione esatta, necessaria, muovendosi impercettibilmente, senza mai cercare l'effetto, la stoccata retorica o l'affondo sentimentale. Così, senza clamore, senza vieti escamotage narrativi, senza avvertimenti o sottolineature ciascun protagonista approda prima della fine a un suo temporaneo compimento. L'ultima inquadratura il regista la affida proprio a Joaquin, mentre si dirige, in cima al camion del circo abbracciato a una scimmietta, lontano dal suo paese, lontano da casa sua. Lontano dal Paradiso.