Scansando ogni logica sentenza di accoppiamento tra personaggio in carne ed ossa e sua effettiva esistenza reale nella storia che scorre nell'ora e ventiquattro di Otryv, possiamo almeno rilevare il coraggio di un esordiente 59enne russo, che fuori tempo massimo ripropone un cinema desueto e criptico come nella migliore tradizione del suo paese. Otryv è una storia di fantasmi, di dolenti sopravvissuti al dolore, di ipotetici morti che camminano. Un grande aereo russo si è schiantato tra i boschi e il dolore di parenti e familiari si mescola con il freddo e cinico distacco delle spiegazioni ufficiali delle autorità preposte. Ma attenzione nulla è come sembra, solo le linee di fondo su cui si imbastisce il racconto (l'annuncio della disgrazia, i rottami sui prati, il riconoscimento dei corpi),  vengono pennellate con vigore. Tutto ciò che si costruisce attorno (la ricerca di verità, l'esorcizzazione del dramma, la presenza effettiva di reali personaggi pedine di una narrazione) è programmaticamente ambiguo. Colui che si traveste da pilota e cerca di infiltrarsi tra un equipaggio che pare sia sopravvissuto allo scontro in volo con l'aereo incidentato, è un semplice vettore che fa avanzare il racconto senza sapere fino all'ultimo secondo di film quale ruolo il signore abbia effettivamente: parente di una vittima? sopravvissuto al crash? zombie? Pur richiedendo una notevole costanza e attenzione (anche Otryv è postsincronizzato nei dialoghi!) il film di Aleksandr Mindadze è uno spaccato di vibrante patimento interiore, metafora dell'attuale disorientamento di una popolazione di fronte all'affronto della morte: nel caso di Otryv, causata da errore umano e da superficialità istituzionale nell'evitarla. Ogni riferimento a fatti reali non è probabilmente casuale.