Ci sono storie, nello sport in generale, nel calcio in particolare, che si tramandano come leggende omeriche: storie di uomini e di territori uniti in maniera indissolubile, a volte dalla nascita, altre volte perché la vita, il destino, ha deciso così.

Tra tutte, la storia di Gigi Riva e il Cagliari è qualcosa di difficilmente ripetibile. Nato a Luggiano, in provincia di Varese, Luigi "detto Gigi" Riva rimane orfano di padre a 9 anni, sperimenta la durezza del collegio e le bacchettate sulle mani fino a quando non imparò a mollare la sinistra per scrivere con la destra, poi a 16 anni resta orfano anche della mamma.

L'amore per il pallone - e per fortuna nessuno si azzardò mai a bacchettargli il piede sinistro... - con cui giocava anche scalzo per evitare di rovinare l'unico paio di scarpe che aveva, il trasferimento ancora minorenne in Sardegna, passando dalle fila del Legnano (in serie C) a quelle del Cagliari, trasferimento che inizialmente il ragazzo intese alla stregua di una punizione. Era il 1963, la Sardegna era nota per i banditi (quelli di Orgosolo, ma non solo) e per i rapimenti: Gigi Riva non l'ha più lasciata da allora, letteralmente "rapito" da quella terra. E oggi, alla soglia degli 80 anni, seduto su una poltrona della sua casa, una sigaretta dietro l'altra, racconta e viene raccontato - dalla gente, dai compagni superstiti di quel Cagliari storico, dai campioni come Baggio e Buffon che l'hanno vissuto nella sua seconda vita da team manager della nazionale - nel bel documentario di Riccardo Milani, Nel nostro cielo un rombo di tuono, che dopo un breve passaggio nelle sale lo scorso novembre, arriva ora su Sky dal 27 giugno (alle 21.15 su Sky Cinema Due, in contemporanea anche su Sky Sport Summer - canale attivo dall’11 giugno sul 201, al posto di Sky Sport Uno - e Sky Documentaries, in streaming su NOW e disponibile on demand, fino al 19 febbraio 2024).

La promozione in serie A nel '64 e la progressiva crescita, costante, di una squadra - dal '66 allenata da Manlio Scopigno - che nel '69 sfiora il titolo (che andò alla Fiorentina, con tanto di polemiche perché il capo della FIGC dell'epoca era il fiorentino Artemio Franchi...) e nel '70 vinse quell'irripetibile, storico scudetto. Ma non solo, ai successivi Mondiali in Messico, quella straordinaria nazionale che si arrese solamente alla potenza del Brasile di Pelè, Rivelinho e Jairzinho, era composta da ben 6 giocatori del Cagliari, 4 dei quali in campo nella mitologica semifinale Italia-Germania 4-3 (Albertosi, Cera, Domenghini e Riva).

Ma non si preoccupa semplicemente di ripercorrere le incredibili gesta sportive del fuoriclasse (con quel rumore sordo - stock! - a caratterizzare l'impatto tra il suo sinistro e il pallone, "rombo di tuono" appunto come lo battezzò l'indimenticato Gianni Brera) - capocannoniere ancora imbattuto della nazionale italiana, con 35 gol segnati - e dei suoi compagni, il lavoro di Milani: intrecciando le testimonianze dirette - tra le tante, anche commoventi, quella di Sandro Mazzola, altro campione, suo amico in azzurro - ai materiali d'archivio, infilando di tanto in tanto qualche frammento di ricostruzione docufiction, Nel nostro cielo un rombo di tuono esplora un periodo particolare della storia di questo paese e gli anfratti di una storia d'amore - quella tra Riva e la Sardegna - che dura ormai ininterrottamente da 60 anni. E che non finirà mai.

Per questo l'aspetto più particolare dell'operazione è da ricercare nel coinvolgimento della gente comune, ormai sua conterranea, che siano allevatori, pastori, barbieri, ristoratori, giornalisti, antropologi, poco importa: pur mantenendo intatto quel proverbiale riserbo e l'apparente "caratteraccio" (fantastico il momento in cui ricorda l'amicizia con De André, iniziata con un incontro dove "la prima mezz'ora è stata terrificante, nessuno dei due ha aperto bocca"), "Gigione" è saputo entrare nel cuore di tutti ed è stato a sua volta capace di accogliere, di restituire quell'affetto non solo attraverso le incredibili gesta sul campo di gioco.

Perché poteva farsi ricoprire d'oro e andare a Torino (alla Juve) o a Milano (all'Inter, con Angelo Moratti - come racconta il figlio Massimo nel doc - che sottobanco comprò il Cagliari per evitare che il campione venisse venduto alla Juve...), ma invece ha scelto di rimanere lì, con e per la "sua" gente. Che ora attende di poterlo riabbracciare ancora, sognando possa sconfiggere definitivamente quella depressione che lo tiene troppo spesso rinchiuso in casa, e magari riesca a cogliere quel rombo di tuono che squarcia l'orizzonte dalla spiaggia del Poetto.