Un film sulla vendetta. Non è Kill Bill, ma per certi versi Milarepa lo ricorda. La storia è quella di Mila, interpretata dalla giovane Isabelle Allen, che devastata dall’uccisione del padre e spinta dalla madre decide di vendicarsi, dopo essere stata privata dagli zii della sua eredità, imparando a padroneggiare il potere segreto della natura. Pentita per le malvagità commesse e rendendosi conto dell’orrore delle sue azioni, deciderà poi di redimersi e si recherà da un nuovo mentore per espiare le proprie colpe: il famoso guru Marpa, interpretato da Harvey Keitel.

Nel cast: il Premio Oscar F. Murray Abraham, Angela Molina, Diana Dell’Erba, Bruno Bilotta, Iazua Larios, Franco Nero, Hal Yamanouchi e Michael Ronda. Scritto, diretto e prodotto da Louis Nero, il film si ispira alla figura di Milarepa, importante maestro spirituale e poeta tibetano, noto per la sua vita di redenzione e trasformazione, discepolo di Marpa Lotsawa e punto di riferimento nella scuola Kagyu del Buddhismo tibetano.

Una storia raccontata in molte opere, tra cui La vita di Milarepa, e già narrata al cinema da Liliana Cavani nel 1973 (nel film dal titolo Milarepa). C’è dunque un antecedente cinematografico dal quale Louis Nero però si distanzia, affrontando lo stesso tema con un approccio completamente diverso e ambientando il suo film in un mondo post-apocalittico.

Un mondo rurale e rude, quello della Sardegna non turistica e nuragica (il film è stato realizzato con il contributo della Regione Sardegna e con il sostegno del Comune di Cagliari – Film Commission). Il risultato è quello di un fantasy, un racconto di formazione, che però fatica a coinvolgere pienamente lo spettatore.

Questa storia di redenzione e trasformazione, di passaggio dall’oscurità alla luce attraverso la perseveranza, purtroppo non riesce a comunicare appieno la forza del suo messaggio. "Mi sono ispirato al mito di Mad Max, ribaltandolo", ha dichiarato lo stesso regista: "l’azione cede il passo all’introspezione". Una scelta ambiziosa, ma che sullo schermo sembra rimanere sospesa a metà, senza trovare un reale equilibrio tra ritmo e riflessione. E la meditazione, più che chiamare alla contemplazione, rischia di lasciare indifferenti.