Collateral è un magnifico film aristotelico su Los Angeles. Una sinfonia notturna su una grande città e su due uomini che la attraversano. Miami Vice non è la partitura noir su una metropoli. Le città di frontiera vivono in un limbo dove le identità sono soggette a una dissolvenza incrociata inarrestabile. Il nome della città nel titolo costruisce un doppio regime di attese: la topografia tropicale, torrida, infida e languorosa dello sperone più settentrionale dell'universo caraibico e la memoria di un serial tv che ai picchi di share ha associato una sigla culturale, un arricchimento dell'immaginario narrativo degli anni Ottanta. Il film di Michael Mann non si ancora né al paesaggio urbano (sono poche e funzionano soprattutto come snodo del paesaggio le inquadrature che contestualizzano le azioni, le atmosfere e le sagome dei personaggi), né alla mitologia televisiva della popolare serie in cui i poliziotti agivano e si atteggiavano come star del cinema. Sonny Crockett (Colin Farrell) e Ricardo Tubbs (Jamie Foxx) hanno ereditato i nomi ma non possono essere i cloni degli attori che li hanno preceduti nella giungla d'asfalto e d'acqua di Miami e il regista non intende farne le copie di due personaggi più eleganti, svegli e carismatici del verosimile. Il mondo è molto più veloce delle meravigliose automobili che fanno impazzire il tachimetro in pochi secondi. Ora sono i telefonini più scattanti delle auto di lusso e annullano le distanze in una frazione di secondo. In questo film e in molti altri intrecci del terzo millennio sono i cellulari, insieme ai computer, ai wireless, alle minitelecamere, i coprotagonisti ufficiali del plot. Oggetti-feticcio profilmici che scandiscono la successione degli eventi e la circolazione delle informazioni, comprimono e dilatano la suspense e disegnano le ramificazioni del copione. Non solo oggetti di scena ma corpi tecnologici seduttivi ed essenziali, talvolta, quanto quelli degli attori... 

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