“Nessuno può sfuggire al proprio destino”, le ultime parole pronunciate da Chayo (Margarita Saldaña) prima di ripartire all'inseguimento del suo. Parole che ripercorrono la parabola di liberazione dai legami più forti e apparentemente indissolubili delineata nel nuovo lavoro di Enrique Rivero, una delle voci più innovative dell'America Latina, Pardo d'oro e Premio Fipresci al 61° Festival di Locarno nel 2008 con Parque Vìa.
Quello di Chayo è un viaggio, concreto e allo stesso tempo interiore, che ha inizio con il ritorno della donna a Xochimilco, sua città natale, per assistere l'anziana madre (Amalia Rosas) in punto di morte, riscoprendo così il rapporto profondo con la famiglia, e più in generale con la sua terra natia, che la porterà a rinunciare alla sua vita e al suo essere donna. L'intimo racconto dello scorrere degli ultimi giorni di vita della madre viene esplorato attraverso le percezioni della protagonista e il suo agire quotidiano a stretto contatto con l'ambiente che la circonda, nell'intimità dei gesti e delle sensazioni.
Con un approccio che combina documentario e finzione, Rivera ritrae la quotidianità di una tra le tante donne che vivono nelle zone lacustri dei piccoli villaggi messicani, riscoprendo la bellezza di una realtà che permette di entrare in empatia con i personaggi - non è casuale, tra l'altro, che la scelta sia ricaduta su attori non professionisti, presi tra la gente che vive e conosce ogni aspetto dell'esistenza in quei luoghi, al fine di ottenere maggiore aderenza al reale. Effetto, quest'ultimo, ottenuto al meglio, grazie anche ad una fotografia, curata da Gerardo Barroso e Arnau Valls Colomer, che coglie con estrema attenzione tutte le sfaccettature di un paesaggio che cambia aspetto a ogni minimo mutamento di luce. I lunghi piani sequenza girati all'alba sulle rive dei corsi d'acqua che circondano il villaggio sono l'esempio più efficace dell'intensità con cui Enrique Rivero ha colto il fascino di quei luoghi, forse a discapito di una narrazione lenta come lo scorrere del tempo nell'attesa di una morte imminente.