Pensato originariamente per la sala e recuperato in corsa su Disney+ a causa della pandemia, L'unico e insuperabile Ivan si inserisce nella grande tradizione dello spettacolo(ne) dello Studio. Passano gli anni ma per i live action il modello resta sempre lo stesso da sessant’anni e oltre: armonioso sfoggio di progressi tecnologici, temi edificanti recepibili da tutte le fasce anagrafiche, rassicurante destinazione familiare.

La matrice è letteraria (il bestseller per l’infanzia di Katherine Applegate), la tecnica mista (live action e CGI), i sentimenti più che buoni, il cast (principalmente di doppiatori: Sam Rockwell, Angelina Jolie, Danny DeVito, Helen Mirren più Bryan Cranston in presenza, tra gli altri) fuori dall’ordinario.

Al centro, un gorillone di nome Ivan, che ancora cucciolo è stato portato via dalla giungla dal direttore di un circo, con cui ha instaurato nel tempo un rapporto intimo e contraddittorio. Ormai da decenni Ivan condivide un habitat posticcio in un centro commerciale insieme all’elefante Stella, il cane Bob e altri animali.

L’arrivo dell’elefantina Ruby spinge Ivan a riconoscere nei suoi occhi tristi qualcosa che sa di aver vissuto ma che capisce di aver rimosso: perché non ricorda cosa provò quando lasciò casa? E soprattutto cos’è l’idea di casa? La storia si colloca all’interno del tipico racconto disneyano che intreccia il racconto di formazione (sebbene Ivan sia piuttosto maturo), la ricerca del proprio posto del mondo, il bisogno di provare un sentimento di appartenenza.

Benché in produzione da anni, L'unico e insuperabile Ivan arriva in un momento in cui le nuove generazioni sembrano toccate da una rinnovata sensibilità nei confronti delle sorti del pianeta e dei suoi abitanti.

 

Forte di una tradizione capace di garantire quel particolare equilibrio tra avventura, divertimento e commozione, Disney ha affidato la regia a Thea Sharrock, acclamata regista teatrale che ha debuttato al cinema con il lacrimevole Io prima di te e forse chiamata proprio per dare a questo adattamento un’analoga dimensione emotiva così vicina al pubblico adolescenziale.

Non a caso i pezzi che funzionano meglio sono quelli più toccanti (preparate i fazzoletti, potrebbero essere utili), dove trionfa il feel good movie in tutta la sua dolce ovvietà. Alla sceneggiatura c’è Mike White, uno che in curriculum ha School of Rock e Beatriz at Dinner: fa il suo, consapevole dei parametri di una committenza che pur parlando ai più piccoli non dimentica mai che generalmente gli adulti accompagnano i bambini nella visione. Tutto ruffiano? Abbastanza, ma va bene così.