Un secolo fa era irriverente, anticonformista, ribelle. Di The Fine Art of Love - Mine Ha-Ha resta oggi un quadretto denso d'atmosfere, che diluisce nella forma la carica dirompente dell'originale letterario. La firma era quella di Frank Wedekind: romanziere e commediografo iconoclasta, censurato al debutto nel 1891 per il candore con cui svelava le ipocrisie borghesi di fine ‘800. Emulo degli eccessi di Baudelaire e Verlaine, Wedekind adotta la forma dell'indagine (anche empirica), come grimaldello della sua denuncia. Ribellione giovanile, repressione e scoperta della sessualità i temi portanti che tornano anche in questo adattamento, firmato a quattro mani da Alberto Lattuada e Ottavio Jemma. L'impero è al tramonto, all'orizzonte si profila il nazionalismo tedesco. Quel che resta della classe dirigente austro-ungarica si aggrappa ai suoi fasti, curando allo spasmo l'educazione delle giovani. Un'etichetta ferrea, che non lascia spazio al sentimento e non disdegna la mortificazione fisica. Siamo in Turingia, eppure dalle parti delle suore scozzesi di Peter Mullan: il collegio in cui Hidalla e Vera vengono rinchiuse con le loro compagne è un'isola al di fuori del tempo e dello spazio, sorvegliata da mute di ferocissimi Dobermann. Fotografia cupa, riprese efficaci, dialoghi appena accennati: l'oppressione è a tratti palpabile, ma John Irvin sembra poi smarrirsi per strada. Brava Jacqueline Bisset nei panni della direttrice repressa, il regista inglese mette troppa carne al fuoco, perdendosi in un dedalo di vicende e personaggi appena schizzati. Fulcro della storia è la ribellione vitale delle ragazze protagoniste. Una vicenda che passa per la ricerca di sé e delle proprie origini, tingendosi poi di thriller a confronto con le macabre scoperte sui metodi e le frustrazioni che avvelenano il collegio. Una crepa rivelatrice di una società in declino, che contagia anche gli stessi vertici della scuola, travolgendo chiunque provi ad opporsi. Eccezion fatta per Galatea Ranzi ed Eva Grimaldi, istitutrice ferrea dal dubbio apporto alla qualità del film, gli altri italiani fanno appena corollario. Decisivo ma minimale il ruolo di Urbano Barberini, quello di Lo Verso sembra addirittura un errore di sceneggiatura: si affaccia sullo schermo in qualità di commissario e illude su sviluppi che non arriveranno. L'atmosfera non manca e le giovani protagoniste svettano sul resto del cast, ma la versione laica di The Magdalene Sisters soffre dell'ombra del film di Peter Mullan.