"Trova la tua corsia. Fai la tua gara". Yusra e Sara Mardini sono due sorelle siriane. Entrambe allenate dal padre, un tempo nuotatore professionista, le due ragazze sono costrette ad abbandonare Damasco per l'intensificarsi della guerra civile. La speranza, insieme al cugino Nizar, è quella di raggiungere la Germania e, una volta lì, chiedere il ricongiungimento familiare dato che Yusra è ancora (seppur per poco) minorenne.

Tra i film attualmente più visti su Netflix c'è The Swimmers (Le nuotatrici), intenso biopic - presentato lo scorso settembre a Toronto - che ripercorre l'odissea delle due sorelle Mardini, partite dalla Siria nell'estate del 2015: dalla Turchia si imbarcano su un gommone insieme ad altre 20 persone per raggiungere Lesbo, in Grecia. Quando il natante inizia ad imbarcare acqua le due ragazze si gettano in mare e proseguono a nuoto, rimanendo in acqua per oltre tre ore evitando il naufragio ai compagni di viaggio.

Una volta in Europa attraversano i Balcani, a piedi e con altri mezzi di fortuna (compresi i soliti ricatti dei vari trafficanti di migranti), passando per Macedonia, Serbia e Ungheria. Finalmente raggiungono Berlino, dove trovano accoglienza in un campo profughi. E lì, dopo qualche giorno, ricominciano a nuotare, in una piscina situata a breve distanza dal campo, allenate da Sven Spannekrebs: nel 2016 Yusra parteciperà alle Olimpiadi di Rio, in forza alla nuova squadra degli Atleti Olimpici Rifugiati.

Diretto da Sally El Hosaini, regista britannica con cittadinanza egiziana, Le nuotatrici si affida in primo luogo alla fortissima adesione delle due attrici protagoniste, Nathalie e Manal Issa, sorelle anche nella realtà, naturalissime nel restituire sullo schermo la verità di un legame indissolubile fatto anche di momenti di tensione.

Sally El Hosaini sul set de Le nuotatrici - Foto Laura Radford / Netflix © 2022
Sally El Hosaini sul set de Le nuotatrici - Foto Laura Radford / Netflix © 2022
Sally El Hosaini sul set de Le nuotatrici - Foto Laura Radford / Netflix © 2022

Prediligendo uno stile narrativo capace di dialogare con le giovani generazioni, il film - già dalle scelte cromatiche e dall'utilizzo di alcune hit in colonna sonora (su tutte Titanium di David Guetta e Unstoppable, entrambe cantate da Sia) - tenta di affrontare la delicatissima questione dei flussi migratori senza edulcorarne il dramma ma insistendo molto sulla possibilità di un riscatto, che se per Yusra sarà quello di realizzare il desiderio di partecipare alle Olimpiadi, per Sara passerà attraverso la presa di coscienza di poter fare tesoro di quella esperienza mettendosi a disposizione del prossimo.

Non manca l'eccessiva retorica, insistiti ralenti, costruzione metaforica di immagini atta a ricordarci il background natatorio delle due ragazze, come non mancano momenti - anche stilistici - capaci di grande forza espressiva (vedi l'approdo a Lesbo, con quel cimitero di giubbotti di salvataggio che si estende poco a poco fino a riempire l'intera inquadratura, dall'alto) ed emotiva, come la costruzione di rapporti umani sinceri tra i vari profughi, provenienti ciascuno dalle zone più martoriate del pianeta.