Parigina, 47 anni, sentimentalmente libera, emotivamente instabile. Si chiama Anne-Marie e la sua relazione con Alex è finita. Lui, assai più giovane di lei, avrebbe desiderato un impegno maggiore, forse un matrimonio. Lei, con un divorzio alle spalle e un lavoro da assistente sociale in corso, non ne vuole sapere. Si separano, ma rimangono amici. Fino al momento in cui lui non la rimpiazza con un'altra e lei, andata letteralmente fuori di testa, non inizia a tormentarlo escogitando maldestri sistemi di sabotaggio. Adattando il romanzo L'Occupation di Annie Ernaux, la coppia francese formata da Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic (qui al secondo lungometraggio), inscena uno psicodramma al femminile che abbandona presto la strada del thriller per inseguire le traiettorie spezzate di un'anima. La tragedia della gelosia diventa così bivio esistenziale, momento di frattura in cui precipitano le sicurezze di una donna che perde all'improvviso il suo centro di gravità e scopre di non essere più né giovane né bella. L'abbandono è per la protagonista il trauma necessario, il deserto che si deve attraversare (e l'attraversamento, in autostrada, in bus, in treno, a piedi, è una metaforizzazione visiva ricorrente nel film) per guardarsi allo specchio e scoprire che la donna conosciuta è diventata un'altra. Un processo figurativizzato con la psicosi e lo sdoppiamento che, pur con qualche eccesso (come nel gesto autolesionista del martello), si regge sulla forza persuasiva della messa in scena e lo splendido assolo di Dominique Blanc, cane randagio più prossimo alla fine del viaggio (la malattia che colpisce l'ex marito segnala proprio l'ineluttabile corso della vita) che al suo principio. Un'interpretazione, la sua, che mira alla Coppa Volpi e colpisce lo spettatore al cuore.