Ormai da qualche anno Netflix sforna prodotti original rivolti agli adolscenti, tanto nella serialità quanto nel reparto film. Una scelta che va incontro a quello che, a quanto pare, è il pubblico di riferimento della piattaforma, che viene così accontentato con storie nelle quali i ragazzi possano riconoscersi.

Se tra le serie si segnala una certa varietà (Tredici, Sex Education, Stranger Things), tra i film le strade sono essenzialmente due: il teen drama e la commedia romantica. Strade che, va da sé, s’incrociano e confondono, come accade in L’altra metà, tra i più interessanti degli ultimi Original Netflix del filone.

Una formula, oltre che un film, una ricetta con ingredienti dosati perfettamente. Eccoli. Adolescenti: studenti, all’ultimo anno di liceo. Diversity: la talentuosa Ellie Chu, figlia di un immigrato cinese rimasto vedovo troppo presto. Amore: il primo, non corrisposto, infelice. Quello che Ellie prova per Aster, una delle ragazze più popolari della scuola. Contesto: una cittadina poco stimolante.

 

Per aiutare il padre, Ellie non solo rinuncia all’idea di continuare gli studi, come vorrebbe la sua insegnante, ma si fa pagare dai compagni per svolgere i loro compiti. Finché arriva Paul, l’atleta della scuola, che anziché i compiti le chiede di scrivere lettere d’amore proprio ad Aster. E lei, novella Cyrano che deve adattare i sentimenti alle emoticon, accetta: ah, l’amore.

Per quanto l’intreccio sia spesso fin troppo prevedibile, è indiscutibile che L’altra metà sia un piacevole dramedy sentimentale. Le ambizioni ci sono, esplicitate da un cartello iniziale che tira in ballo nientemeno che Platone: “L’amore è il nome che diamo al desiderio di essere uno”. Eppure c’è anche disincanto: “Ma gli antichi greci non sono mai stati al liceo. E non servono anche gli dei a incasinarci”.

Il repertorio di citazioni è notevole: a volte si ha più l’impressione di un giochino ammiccante simile alle frasi condivise sui social (Wilde, Sartre), in altre occasioni si avverte qualcosa di più sottile. Mettendo in mezzo Il cielo sopra Berlino e La signora del venerdì si scorge una costellazione di riferimenti non banali e uno specchio delle intenzioni di Alice Wu, al secondo film sedici anni dopo Salvare la faccia.

E da questo terreno emerge la miglior battuta del film, dovuta a Paul: “Mi nascondo dietro le parole degli altri. Se sapessi cos’è l’amore citerei me stesso”. Bravissima Leah Lewis, che regge splendidamente il primo piano finale, dopo aver sostenuto un bel dialogo con il padre Collin Chou.