Un po' Pascoli e un po' Palazzeschi. L'Italia del Nord con Bologna e quella del Sud con le Puglie, dalle parti di Fasano. Due famiglie, due culture, una sola Italia, quella del dopoguerra, drammaticamente spaccata a metà e dal futuro molto incerto. Il bel film di Pupi Avati, uno dei suoi migliori in assoluto, parte da questa cartolina sincera del nostro Paese, mentre con grandi difficoltà ed entusiasmi tenta di lasciarsi alle spalle i molti drammi appena subiti. Da una parte Lilliana Vespero vedova Ricci e il figlio Nino: bell'esempio di signorotta sfollata la prima, interpretata da una straordinaria Katia Ricciarelli che, lasciato Donizetti e la scena lirica, trova una felicissima seconda vita d'artista nel cinema; ribaldo galantuomo, ladro avventuriero e sognatore incallito il secondo, che ha il volto scanzonato e ingenuo di Neri Marcorè. Per loro, senza casa, senza nulla, dormire in un vagone è una situazione insostenibile. Un legame di sangue, sempre nascosto e ripudiato, li ricollega ad una vecchia masseria pugliese dove due zie - una specie di sorelle Materassi dedite alla preparazione di confetti - e un nipote con qualche problemino mentale - Antonio Albanese, candido e ingenuo - convivono tra faccende casalinghe e sminamento di residuati bellici sparsi per i campi e le spiagge. Il primo atto del film è la riproduzione degli antefatti sospesi tra Nord e Sud e tra i due nuclei familiari tra loro diversissimi; il capitolo centrale è il viaggio verso la Puglia di Lilliana e Nino, attraverso un'Italia che non ha perso, nei gustosi personaggi incontrati, le radici dell'accoglienza e dell'amicizia, viaggio che da lì a pochi anni l'Italia vivrà, invece, in modo più drammatico, come un esodo al contrario; il terzo e finale capitolo è l'adattamento reciproco, tra equivoci, malefatte, malelingue, cattivi pensieri, grande solidarietà e un pizzico di buonumore, nel corso dei quali si ricomporrà l'antico e temuto nucleo familiare, mettendo a nudo pregi e difetti, ma anche molta voglia di amore, di perdono, di comprensione. Pupi Avati non viene meno alla sua idea di cinema pastorale, crepuscolare, semplice, puro. Ma questa volta il dosaggio degli elementi è perfetto, non una sbavatura, non una forzata malinconia, non un sorriso ed un bacio di troppo. Una verità personale, una memoria nascosta, che Pupi sente generosamente di dover condividere con tutti noi.