Se in Sacro Gra un punteruolo rosso minacciava l'esistenza delle palme, in La plaga, dello spagnolo Neus Ballus e in concorso a Torino 31, sono le mosche bianche a mettere a repentaglio un campo di patate della campagna catalana. Nell'uno e nell'altro caso abbiamo a che fare con un nobile esempio di cinema del reale, espressione felice per descrivere tutta una serie di opere interessate alla marginalità umana (i signor nessuno del mondo), alle opportunità del digitale, e a un realismo oltre (o in mezzo?) il documentarismo televisivo e la fiction verista.
Ne La plaga ci sono pochi ma essenziali accorgimenti di messa in scena - principalmente nella lucida geometria delle riprese, nella fotografia rovente di Diego Dussuel e nel sound dolente di Marisol Nievas e Juan Sanchez Cuti - mentre tanto le location quanto i personaggi sono quelli della realtà: un immigrato moldavo di nome Lurie (Iurie Timbur), che si divide tra tornei regionali di lotta greco-romana e la coltivazione di ortaggi al fianco di Raul (Raul Molist), un proprietario terriero che lavora nel biologico; un'altra immigrata, stavolta filippina, Rosemarie Abella, infermiera presso una casa di cura per anziani, là dove viene ricoverata Maria Ros, una minuscola ottuagenaria consumata nel fisico da una vita trascorsa in campagna, piegata sui campi, sotto un sole bruciante. La calura non dà tregua nemmeno a una prostituta di mezza età, Maribel Marti, costretta a passare intere giornate su una sedia all'aperto, in attesa di clienti sempre più rari.
Storie che si sfiorano, si trovano per un momento e poi riprendono il loro corso, ognuna per conto proprio. Storie di solitudini e di solidarietà d'occasione. Di rassegnazione e resistenza, nella vita che è guerra permanente, logora e sfiorisce, implacabile. L'insegnante di lotta continua a ripetere a Lurie: "Difenditi, resisti!". Le infermiere filippine vedono morire ogni giorno persone a cui si erano affezionate. Piaghe della natura (le mosche bianche che minacciano il raccolto della stagione, il sole che fa seccare tutto, pelle, piante e frutti) e quelle della carne (la parte più emozionante è senz'altro quella all'interno del sanatorio).
Non ci sono vincitori in questo piccolo avamposto del pianeta. Ma caduti e sopravvissuti, fino alla prossima volta.
La plaga è infettabile con il virus della disperazione ma Ballus, anche sceneggiatore, preferisce guardare il cielo per una sempre possibile benedizione. Opera impeccabile, nella forma e nelle intenzioni, ma senza sorprese. Cinema del reale spinto ai limiti. Un passo al di qua del suo sfinimento.