Sotto la pelle di Xavier, bello e ribelle, si insinua il diavolo. Non che abbia le fattezze pericolose che conosciamo: si tratta della gelosia, dell'impossibilità a trattenere una rivolta covata da anni contro il padre, contro i cliché della società e della famiglia. Per questo ha una empatia particolare con la natura che lo accoglie e lo circonda, lussureggiante e libera come è il suo spirito, indipendente e generoso. Per questo non permette a alcuno di impossessarsi del tempo e del futuro del fratellino Jacques, che lui tutela e con il quale vuole crescere. Un legame imprescindibile e insostituibile. Una simbiosi pura e serena che viene spezzata quando la realtà prossima si fa vicina: saranno separati per l'anno scolastico a venire. Il più piccolo se ne dovrà andare in un istituto in città. Il diavolo prende possesso di Xavier, il male e il rifiuto si insinuano appunto nella pelle, nella vita: tutto diventa un pericolo per lui, l'unica pace è guardare il cielo stellato con Jacques, pensando di potervisi immergere per sempre.
Dialoghi infinitesimali nella natura, propedeutici: "Sembra di poterle spostare come si vuole, quelle stelle", dice il più grande; "Ma sai che non è vero", risponde il più piccolo; "Molte cose sono meglio della verità". Il dolore offusca la verità di Xavier, lo rende addirittura violento e questa violenza fa il paio con quella del padre e contrasta con ciò che lo contorna e lo protegge. Alcuni momenti, dei due fratellini che vagano e parlano tra il verde dei prati, il marrone dei boschi e la trasparenza dei ruscelli, sono di rara poesia.
Il film di Gilles Martinerie è rarefatto, dialettico, minimale e tragico come può essere, infine, la solitudine, quando un semplice gioco si trasforma in tragedia.