Sicario attempato, Jimmy Bobo (Stallone) è deciso a vendicare il suo partner di lavoro. Taylor Kwon (Sung Kang) è un detective coreano di Washington, arrivato a New Orleans per risolvere il caso di omicidio che ha visto la morte di un suo ex collega, finito in giri loschi. L'obiettivo di entrambi è comune e, per raggiungerlo, faranno coppia: il problema sarà far convergere metodologie di "lavoro" agli antipodi.
E' un grandissimo film, Bullet to the Head di Walter Hill. Perché dimostra che è ancora possibile realizzare credibili action movie come avveniva tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli '80, ma soprattutto perché riesce a condensare adrenalina e violenza, ironia e divertimento. Intrattenimento d'autore, insomma, con il regista dei Guerrieri della notte che rispolvera la fortunata struttura del film a "coppia anomala" 30 anni dopo 48 ore: ancora una volta poliziotto e malvivente (all'epoca Nick Nolte e Eddie Murphy) si uniscono, ma se lì si virava con forza alla commedia, qui a funzionare senza intoppi è l'intelligente fusione tra generi, che poggia su un racconto solido e una costruzione classica (merito anche dello sceneggiatore Alessandro Camon, che si è ispirato alla graphic novel Du plomb dans la tete, scritta da Matz e illustrata da Colin Wilson), esaltata dalla rimarchevole prova di Sylvester Stallone.
Roccioso, crepuscolare, ironico, Sly incarna la figura del killer senza scrupoli, "regolato" dai sani, vecchi principi ("niente donne, niente bambini") e disposto a qualsiasi cosa pur di salvaguardare la figlia Lisa (Sarah Shahi). Old style e dritto alla meta, poco incline al compromesso, il suo personaggio trova il contraltare nello sbirro ipertecnologico e ligio al rispetto dei più elementari codici di giustizia. Alla fine, naturalmente, la situazione potrà essere affrontata (e risolta) solamente con il metodo Sly: "Vogliamo combattere? O pensi di farmi morire di noia?", dirà il nostro al gigantesco Jason Momoa, killer al soldo dei cattivi. Game, set, match.