Austria felix über alles. Il 55enne regista austriaco Ulrich Seidl è forse il più importante e attento propugnatore di quel cinema entomologico, spietato, definitivo che fa dell'osservazione delle miserie psichiche, morali e sociali del singolo, un motivo fondante della propria estetica. Macchina da presa frontale fissa e un altro changez la femme (o l'homme) in terra viennese, dopo il notevole Canicola del 2001, per comprendere i limiti dell'ipotesi felice mitteleuropea con alle porte la migrazione dei paesi dell'Est. Paul, giovane irrequieto passa da un licenziamento all'altro, fuggendo dai debitori e riducendosi a trasportare macchine per videogiochi tra Slovacchia e Ucraina. Olga, giovane infermiera ucraina, parte alla ricerca di una vita migliore in Austria prima come babysitter, poi come donna delle pulizie in una casa di riposo. Bandito il sentimentalismo, cancellata ogni ipotesi di happy-end, Import-Export si qualifica come ritratto impietoso di un'umanità emarginata, priva di un'idea di futuro, di appigli onirici per sfuggire ad una realtà transnazionale zeppa di pregiudizi razziali e povertà economica. Per fare ciò Seidl mette in scena ogni tipo di elemento estremo in riferimento a pratiche sessuali a pagamento, bisogni corporali esibiti in primo piano, deficitarie pratiche di sopravvivenza fisica di anziani: insomma una totale mancanza di filtro visivo per lo spettatore che però nell'insistito lirismo delle immagini, nella vibrante tensione drammaturgica ritrova senza mezzi termini l'ipotesi poetica del miglior simbolismo pasoliniano.