Parigi, 1919. La tragica storia d'amore fra il pittore livornese Amedeo Modigliani (Andy Garcia) e la bella Jeanne (Elsa Zylberstein), osteggiata dal padre di lei - contrario all'idea che sua figlia frequenti un ebreo - e continuamente messa a repentaglio dagli stravizi del pittore, sopraffatto da alcool e droghe. Sullo sfondo, il Café Rotonde, punto di ritrovo per una cerchia di artisti (Picasso, Stein, Rivera, Cocteau, Soutine e Utrillo) nell'immediato dopoguerra parigino. Mischiando fatti storicamente accaduti (come la relazione fra Jeanne Hebuterne e Modigliani, conclusasi con il suicidio della ragazza all'indomani della morte di lui) ad avvenimenti inventati alla bisogna, lo scozzese Mick Davis - al secondo lungometraggio dopo The Match, mai uscito nelle nostre sale e prossimo alla lavorazione di un progetto sul Dorian Gray di Oscar Wilde- scrive e dirige questo I colori dell'anima, pastrocchio dall'eccessiva durata (127') e dalla consistenza pressoché nulla. Stucchevole dal punto di vista melodrammatico, banalmente infantile nella rappresentazione della rivalità tra Modigliani e Picasso - al quale non rende un gran bel servigio l'interpretazione di Omid Djalili - e insostenibile per quanto riguarda tonalità cromatiche (Emmanuel Kadosh, direttore della fotografia, utilizza illuminazioni differenti un po' come capita) e scelta delle musiche (l'Ave Maria schubertiana rielaborata in chiave etnica accompagna gli artisti nel momento della creazione pre-gara), il film meriterebbe d'esser visto solo per i quadri - di originali ce ne sono solo un paio - che di tanto in tanto vengono esposti.