Albania, Serbia, Italia e Ungheria, ai giorni nostri. Due giovani coppie decidono di lasciare i rispettivi paesi per cercare una vita migliore in Europa occidentale. Per la coppia albanese, i problemi iniziano all'arrivo in un porto dell'Italia meridionale, dopo aver già affrontato incidenti e prove di ogni genere. Analogo destino attende la coppia serba, che entra nell'Unione Europea dal confine ungherese.
Per una serie di casi sfortunati, ma in realtà neanche troppo fortuiti, nessuna coppia riuscirà a coronare il proprio sogno d'espatrio. E, questo sì, non è un caso: i giovani dei Balcani pagano per gli errori commessi dalle generazioni precedenti, dai padri e dagli zii.
E' questa la "tesi" di Honeymoons, primo film co-prodotto da Albania e Serbia e diretto dal regista serbo Goran Paskaljevic (La Polveriera). Due storie parallele, anzi no: il punto d'intersezione è il rifiuto dell'Europa, invero non così permeabile ai flussi migratori.
E soprattutto c'è la sindrome dei Balcani - esemplificata con nome e cognome: Kosovo - e ancora, distacco e ironia, sia per i padri che per i figli.
Nulla è cambiato, in fondo, e anche questo film è debitore del cinema balcanico, dello stesso Paskalievic e di Kusturica, vedi il matrimonio notturno.
Ma c'è dell'altro, e non è buono: la frontiera con l'Europa Honeymoons riesce a passarla, almeno stilisticamente. Guardando piccolo e basso: alla fiction televisiva, soprattutto quella nostrana, che per tagli, inquadrature e drammaturgia finisce per emulare. Centrando la peggior integrazione possibile.