Uso e abuso di sostanze stupefacenti, punk, junkie, traveller, rave party, Sert, origini borghesi e quotidianità marginale, ironia e cinismo. Fuori vena mantiene le premesse del titolo e scorre senza direzioni prefissate né limite alcuno, ma dolorosamente. E la cancrena è quella provocata dalla droga, anzi - errore - da una droga: l'eroina. La 28enne milanese Tekla Taidelli sull'argomento ha molto da dire e parla con la sua autobiografia, rivista e adattata per lo schermo. Lei (Tekla Taidelli) punk, lui tossico (Giampaolo Muciaccia): il loro incontro è fortuito, casuale, necessario. Tra letti sfatti e sudici, siringhe che scandiscono i morsi della dipendenza, raglie di coca e speed, rendez-vous istigati dalla scimmia, si instrada faticosamente la relazione. Ma non è un passo a due, seppur malfermo e squilibrato, ma un triangolo: lui, lei e la droga. Un pasto nudo che non ammette altri invitati, lascia tutti fuori vena. Nonostante i tentativi di Tekla - reale e finzionale - Zanna non riesce ad aprirsi all'altro, viene strappato al suo desiderio d'amore dagli amici di buco. E decide per l'eroina o, meglio, l'eroina decide per lui. Con scappatoie più o meno consapevoli, indifferenza ideologica ma non poetica, Fuori vena scosse l'ultimo festival di Locarno, per poi portare la propria overdose digitale e low-budget nelle sale di Milano e Bologna e, da oggi, Roma. Ma i meriti artistici - pur indiscutibilmente presenti - non sono l'elemento di maggior interesse, il nodo focale sta nella prospettiva: dal basso e dall'interno. La tossicodipendenza è accostata senza stereotipi altri e senza la consueta indifferenza oggettiva e soggettiva: la droga è materia complessa e tocca necessariamente farvi delle distinzioni. D'altronde, la vita stessa - e la morte - lo richiede. Per dirla con Burroughs, a cui il film sarebbe piaciuto: "Guardate, GUARDATE GIÙ per quella strada di droga prima di partire e di mescolarvi con la Banda Sbagliata...".