L'Italia non è un paese per rumeni. Almeno a giudicare da quello che i nostri vicini dell'Est pensano dell'ospitalità nostrana. Fa una certa impressione sentire una distinta signora di Bucarest decrivere i nostri connazionali come esseri dallo sguardo inquietante che rapiscono poveri rumeni in salute per l'espianto degli organi. O sentire un padre di famiglia parlare della Mussolini o del sindaco di Verona alla stregua di aguzzini, manco fossero i nostalgici del Terzo Reich. D'altra parte noi italiani non siamo più teneri, se i rumeni sono da tempo non graditi dalle nostre parti e sospettati di essere potenziali assassini, ladri e stupratori seriali. La provocazione lanciata da Francesca, in cartellone a Venezia nella sezione Orizzonti, sta proprio nella paradossale specularità del pregiudizio, in quel cortocircuito della verità che determina, a seconda del punto di vista, una perfetta mutuabilità di vittime e carnefici. Se l'Italia fosse un paese normale questo film sarebbe accolto da noi con la dovuta preoccupazione e i sentiti ringraziamenti da parte del Parlamento. Temiamo però che non lo sia e che, dopo Videocracy, anche Francesca provocherà polemiche e boicottaggi organizzati. Titoli entrambi di proprietà Fandango, che li distribuirà nelle nostre sale. Alla società di Domenico Procacci complimenti per il coraggio. Ne avesse avuto altrettanto la Mostra l'opera prima di Bobby Paunescu sarebbe stata in Concorso. Protagonista un'intensa Monica Bîrladeanu, giovane maestra d'asilo che sogna di emigrare in Italia, alla ricerca di una vita migliore. Mita, il suo ragazzo, la raggiungerà non appena avrà concluso un affare in cui è rimasto coinvolto. Le cose però non prendono la piega sperata. Austero (inquadrature fisse, pochi tagli, nessun commento sonoro), durissimo, puro, come gran parte del cinema rumeno di questi anni (Cristian Mungiu e Corneliu Porumboiu hanno trovato un degno erede), Francesca è come un film dei Dardenne senza redenzione. La violenza non è mai esibita, ma è ugualmente palpabile in ogni quadro, gesto, dettaglio visivo. In un crescendo grottesco di tensione, pericolo e follia che nega allo spettatore ogni catarsi e lancia alla politica un monito non più procrastinabile sull'esplosiva situazione rumena. In Italia sono partite le ronde, l'Europa invece non ha ancora ritrovato la bussola.