“Il mondo è cattivo, le persone cattive esistono”, dice in apertura Kayla, protagonista di Eighth Grade (l’anno scolastico che corrisponde alla nostra terza media). Nella sua cameretta, produce molti videoselfie che pubblica su YouTube. Un po’ con l’ambizione di offrire supporto motivazionale ai suoi (pochi) follower e un po’ come un’autoanalisi o un confessionale.

Primo piano su una solitudine adolescenziale. I brufoli dell’acne giovanile e lo sguardo di chi forse ancora non cerca un posto nel mondo ma sicuramente attenzioni, riconoscimento, calore. Diario di una ragazzina inquieta, parafrasando un classico new-hollywoodiano.

 

L’incidenza della tecnologia e dei social nella vita degli adolescenti (i tutorial, le chat su Instagram, i filtri Snapchat, le foto su Tumblr ma niente Facebook, relegato agli adulti) è uno dei temi fondamentali dell’acclamata opera prima di Bo Burnham, che nel nutrito novero dei dramedy indie spicca per autenticità e sensibilità.

Attore comico, il regista - appena ventottenne quando il film uscì negli Stati Uniti, nel 2018 - fa coincidere le personali ansie da prestazione vissute prima delle performance sul palcoscenico con i turbamenti peculiari dell’età raccontata. Nel cuore di quel cambiamento che – come dice Kayla – “fa paura ma è bello”, alla scoperta di “tutti quei te che costituiscono il vero te”.

Magnificamente resa da Elsie Fisher (candidata al Golden Globe), Kayla non vince il premio per gli occhi più belli della scuola: ma è attraverso il suo sguardo puro che Burnham sceglie di leggere la complessità del mondo. Immergendola in un contenitore dove i ralenti evocano il senso di “scoperta” della protagonista e la musica determina la tensione della novità.

Difficile non provare empatia con lei: incredibile l’umanità che emerge nel primo piano in cui incassa il disprezzo della nuova non-amica a cui ha donato un regalo poco gradito. E quanta tenerezza nella cena con il ragazzino nel sotto-finale, che ripaga la nostra eroina di tante delusioni amorose. E che delusione quel ragazzino che gioca a basket, così bellino e senza alcun tatto.

D’altronde, “è così facile volerti bene” le dice il padre paziente e difettoso (ottimo Josh Hamilton), che l’ha cresciuta da solo. Eighth Grade è anche un film sull’essere padri: notevole il commovente faccia a faccia verso la conclusione.