Il diciottenne gitano Jason Dorkel si appresta a ricevere il battesimo, ma l'acqua lustrale può attendere: dopo 15 anni di prigione, per l'omicidio di un poliziotto, il suo fratellastro Fred esce di prigione, ed è lui stesso a dichiarare con orgoglio di non essere cambiato. A parte le tasche: vuote. Che fare? Un carico di rame capita a proposito, basta rubarlo, e della partita on the road, a bordo di una potente Bmw Alpina, è anche il terzo fartello Dorkel, Mikael.  Opera seconda del francese Jean-Charles Hue, classe 1968, Eat Your Bones è in concorso al 32° Festival di Torino, e non manca di un qualche appeal: tensione noir non allineata, perché i gitano in primis non lo sono; studio antropologico, che il regista segue la comunità nomade da tempo; ibridazione di genere; sgommate on the road no future. Il problema, devastante, è che la storia non ha alcuna capacità empatica: di Jason e fratelli, tutti diversamente grulli, non ce ne importa nulla, e le loro peregrinazione notturne bene presto ci lasciano a  piedi. Ovvero, quella Bmw va, va e fa sfracelli, ma lo spettatore non è a bordo, e non fa l'autostop.