Lunga è la strada tra il Senegal e l'Europa. Migliaia e migliaia di chilometri che il quindicenne Mitri, asso del pallone in erba, tenta di  azzerare a colpi di assist e tunnel. Gioca e si allena sperando di essere notato da qualche talent scout e portato a giocare in Europa, magari in club prestigiosi come il Barcellona o il Chelsea. E un giorno il sogno si avvera, peccato che in cambio di un provino a Parigi il losco intermediario chieda più soldi di quanti la nonna, con la quale il ragazzo vive, disponga. Il resto è già scritto, perché se la povera donna farà di tutto per trovare il denaro non da meno gli sfruttatori non sprecheranno un secondo a pensare alla vita rovinata dei truffati.
In Concorso ad Alice nella città, Comme un lion di Samuel Collardey mantiene ciò che promette fin dalle prime sequenze, cioè niente di più di quanto non serva a dipingere fino in fondo l'odissea di un ragazzo con il dono del calcio nato dalla parte sbagliata del mondo. Un paese dove ogni cosa è più difficile e l'infanzia e l'adolescenza beni trascurabili. Ma nella migliore tradizione dietro tanto male brilla la luce del riscatto, che puntuale arriva come nella più autentica delle fiabe. Ché questo è l'opera di Collardey, un racconto leggero di speranza e rivincita contro un destino apparentemente avverso.
Lieve è anche l'impronta registica, che non concede nulla di visivamente rilevante lasciando gran parte del peso del film sulle spalle del suo protagonista. Che non sono però così possenti, causa una sceneggiatura che latita non poco sul versante dell'approfondimento psicologico. Dello stesso spessore gli altri personaggi, tra tutti l'allenatore che decide di dargli una mano e la sorella di lui, credibili ma abbozzati secondo un copione sin troppo noto. Qualche scarto rispetto al modulo prefissato avrebbe giovato. Si attende per così tanto tempo il colpo di tacco spiazzante che quando arriva lo scontato gol finale il desiderio di esultare è in buona parte già spento.