Tanović torna indietro nel tempo, a temi a lui congeniali dopo il deludente Triage, con una riflessione dolente, pacata, ben distante dal grottesco urlato e sopravvalutato di No Man's Land. Torna in Jugoslavia, nel 1991, nell'Erzegovina meridionale teatro degli avvenimenti e patria in cui fa ritorno l'esule Divko Buntić. Per lui sembra essere arrivata l'ora delle rivincite, in prim'ordine sulla ex moglie. Il tempo, e i soldi, sembrano essere dalla sua parte: ma la guerra serbo - bosniaca - croata incombe, e tutto sta per cambiare radicalmente.

Odio e intolleranza minano ogni apparente certezza, e chi era amico non lo è più nell'arco di una notte. E forse, la famiglia che credevi perduta è l'unica certezza che resta. Tanović, al solito, è piuttosto didascalico e di grana grossa nella formulazione delle sue allegorie (la famiglia con cui Divko si riconcilia è un atto di amore e riconoscimento verso la patria da lui rigettata, proprio adesso che sta andando incontro allo sfascio); Ma gli va riconosciuto, nell'adattare il romanzo di Ivica Dikic, l'equilibrio e il lirismo di chi ha vissuto il fratricidio, e non si limita a descriverlo. E il cast, Manojlović in testa, gli dà più di una mano.