Il dramma adolescenziale si consuma, nel caso di Blue My Mind, attraverso una mutazione. Il mostro dentro di noi si affaccia sul mondo e prende il sopravvento, come l’incontrollabile impulso che traghetta la protagonista dalla giovinezza all’età adulta. Il tempo del gioco, dei divertimenti, delle notti passate a ballare fino all’alba, da un giorno all’altro finisce e iniziano le responsabilità, le preoccupazioni di chi deve confrontarsi con il quotidiano. Resta la nostalgia di un’età spensierata, poi bisogna nuotare in un mare di squali, con i muscoli abbastanza allenati per non sentire lo sforzo.

Mia è una ragazza normale, di quindici anni, che non riesce a ritrovarsi nel luogo dove si trasferisce la sua famiglia, una cittadina nei pressi di Zurigo. Lo scontro generazionale la porta a chiudersi in se stessa, senza avere nessuno con cui sfogarsi. Parlare con i genitori sembra impossibile, perché troppo impegnati a punirla o ad annoiarla con la predica giornaliera. Lo spirito ribelle di Mia si manifesta nella nuova scuola, quando conosce un gruppo di giovani disinibite che hanno soltanto voglia di divertirsi.

Lei si sente inadeguata, nonostante abbia tutto quello che può desiderare. Le mancano l’amore, i sentimenti genuini e, in particolare, l’amicizia. Più volte interroga la madre per capire se sia davvero loro figlia, ma non riceve mai una risposta. Mia lascia esplodere la sua indole nel sesso selvaggio e, a tratti, in Blue My Mind si sentono gli echi di Havoc – Fuori controllo e Melissa P. Poi la sessualità cede il passo all’alcool, ai furti nei centri commerciali e alle magliette alzate in cima a un cavalcavia.

La protagonista in realtà ha paura di se stessa, e cerca di mascherare i suoi incubi con gesti al limite, che la fanno sembrare coraggiosa agli occhi del gruppo. Ma la bestia si sta svegliando dentro di lei. Una mattina Mia scopre che una strana membrana unisce le dita dei suoi piedi, ed è solo l’inizio. La trasformazione diventa inesorabile, come quel processo che neanche Peter Pan ha mai accettato: nessuno vuole crescere. “Vorrei poter mettere questo momento in pausa per sempre”, dice un’amica a Mia, ma l’orologio dell’esistenza non si può fermare.

Gli adulti alzano la voce, ma non per trovare una soluzione. Mia e le sue compagne rispondono con la loro fisicità, con il rossetto sulle labbra e le minigonne. La macchina da presa insegue i volti e gioca con le luci, per scavare nei tormenti e nelle gioie. L’oscurità incombe, il soprannaturale diventa realtà, e le speranze si spengono nelle profondità del mare, nel buio dei nostri pensieri.

La regista Lisa Brühlmann esordisce con una storia mai scontata, che utilizza una cupa fantasia per portare nuova linfa in un genere che forse ne ha bisogno. Dal piccolo al grande schermo, i drammi che precedono la maturità rimangono un sempreverde che rischierebbe di appassire senza uno sforzo di originalità. L’oceano attende, la maggiore età arriva per tutti, e non resta che godersi ogni singolo istante, prima che la consapevolezza cancelli i sogni.