"Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole". Per questo motivo la mafia condannò a morte don Pino Puglisi. Era il 15 settembre del '93, il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, un anno dopo le stragi in cui persero la vita, per mano degli stessi assassini, i giudici Falcone e Borsellino. Don Puglisi fu ucciso in modo meno eclatante, freddato con un colpo di pistola nel centro del rione Brancaccio, alle porte di Palermo. "Sono qui per aiutare la gente per bene a camminare a testa alta" diceva ai suoi ragazzi. E proprio a loro è dedicato Alla luce del sole di Roberto Faenza. Al regista va il merito di aver portato sul grande schermo una storia che fino ad oggi aveva avuto soltanto una trasposizione televisiva con il film Brancaccio. Alla luce del sole non è né un'opera di denuncia, né di cronaca. Tanti gli interrogativi, anche importanti, ai quali Faenza sceglie, forse volutamente, di non fornire una risposta. Si concentra invece sulla vicenda intima di Puglisi e sulla sua battaglia contro l'isolamento e l'omertà, per restituire un ritratto intenso e commovente del parroco palermitano. Punto di forza del film sono soprattutto i volti dei piccoli protagonisti: ragazzi presi dalle strade di Brancaccio, e quello straordinario di Luca Zingaretti che riesce con un'interpretazione mai sopra le righe a rendere tutta la forza morale di questo personaggio, la sua grandezza e insieme la sua semplicità. Peccato per il ritratto che il regista dà di Cosa Nostra e dei suoi boss, in alcuni casi più simili a bulli di periferia che a spietati assassini.