"Pensiero, dove hai le radici? Nella mia anima folle o nel grembo distrutto?". Alda Merini vive di poesia. Anzi, è "un'invasata di poesia" come più voci la definiscono. Una lunga intervista non esente da (eccessive) commozioni sonore tanto nell'intervistatore quanto nell'intervistata, la lettura per voce di Mariangela Melato di alcuni versi, accavallamenti tra vita reale e vita poetica. Che per l'artista hanno praticamente coinciso. Di questo si compone la docu-intervista Alda Merini - Una donna sul palcoscenico di Cosimo Damiano Damato, passata ieri alle Giornate degli Autori veneziane. Nel film la poetessa dei Navigli mette a nudo la propria anima dilaniata dalle sofferenze che l'hanno accompagnata in quasi tutta l'esistenza: dall'abbandono dell'adorato Manganelli agli anni in manicomio, dalla lacerazione per la separazione dai figli alla miseria causata da un'incondizionata coerenza al gesto poetico. Dal rapporto con l'amore "che è delirio" a quello con il sacro, con il Magnificat e San Francesco. In 3 anni di frequentazione di casa Merini, Damato ha tentato di mettere in scena audio-visivamente il senso di fare ed "essere" poesia al giorno d'oggi e con la poetessa in totale aderenza e fiducia al suo progetto, vi è parzialmente riuscito. Ciò che ne esce, infatti, ha soprattutto il privilegio di trasudare di un personaggio poetico per eccellenza, benché non goda di una regia particolarmente coraggiosa. Merini, nata il 21 marzo 1931 considerata una delle massime voci poetiche contemporanee e per questo più volte candidata al Nobel per la letteratura, vive attualmente in una piccola casa sui Navigli, totalmente immersa tra poesia, pensieri e sigarette. Lei, "La pazza della porta accanto", serenamente si è arresa all'indolenza, così "non vedo più la gente che mi picchia e non vedo più i manicomi. Sono morta nell'indolenza".