Giudicare un Festival semplicemente dalla line-up (sulla carta, quindi) è esercizio sin troppo superficiale. E altrettanto pretestuoso.

Il più delle volte, in questi casi, si parte dalle assenze. Ebbene, l’unico vero grande assente (tra l’altro annunciato) di Venezia 76 sarà The Irishman di Martin Scorsese. Perché? Semplice: “Perché il film non è pronto, lo sarà forse a fine novembre. Scorsese è stato un sogno che abbiamo tutti accarezzato, sembrava potesse essere pronto, poi le cose sono andate diversamente”, spiega Alberto Barbera, il direttore della Mostra, ribadendo ufficialmente quello che (ufficiosamente) già si sapeva un paio di mesi fa, durante i giorni del Festival di Cannes.

Pagherà lo scotto di questo (unico) tassello mancante la prossima edizione della Mostra, in programma al Lido di Venezia dal 28 agosto al 7 settembre? Ovviamente no.

La selezione annunciata oggi è (sì, ok, sulla carta) qualcosa di difficilmente “catalogabile”, perché se è vero quello che dice Barbera (“Il timing non lo scegliamo noi, dipende in primo luogo dal quando e dal se un film è pronto, alla fine sono i film che scelgono dove andare”, riferendosi anche all’ultimo di Tarantino (C’era una volta a… Hollywood), che in fretta e furia è stato concluso per Cannes ma che, comunque, a Venezia non sarebbe mai potuto andare, vista la release americana fissata ai primi di agosto), è altrettanto vero che forse mai come stavolta si è di fronte ad un cartellone “mondo” capace di toccare ogni continente, senza nazionalità predominanti, senza favoritismi autoriali o di genere.

“Se vogliamo, quello che ricorre è la predominante di film che lavorano per ricostruire vicende ed eventi del passato, ma che ripensano e ci costringono a riflettere per leggere i problemi del presente: un cinema della realtà che preferisce confrontarsi con i temi della cronaca, elemento presente anche nei molti film di genere che abbiamo selezionato”, dice ancora Barbera, che non si sottrae neanche alle solite, provinciali, questioni legate al cinema italiano.

Martin Eden

“Le scelte – spiega il direttore della Mostra – si fanno dopo aver visto i film e si sceglie su parametri estetici. Vivere di Francesca Archibugi e Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores (entrambi Fuori Concorso, ndr) sono ottimi prodotti, destinati al grande pubblico, mentre i 3 titoli che abbiamo scelto per il concorso (Martin Eden di Pietro Marcello, Il sindaco del Rione Sanità di Mario Martone e La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, ndr) sono un’altra cosa, delle sfide, film che provano a reinventare, a dialogare con lo spettatore in maniera differente”.

Cosa che fa da sempre il cileno Pablo Larraín, di nuovo in gara a Venezia tre anni dopo Jackie, ancora con un film (Ema) incentrato su un personaggio femminile: “Un ritratto di una donna incendiaria, agli estremi, interpretata dalla giovane scoperta Mariana Di Girolamo”.

Esercizio, mai banale, al quale si presta Olivier Assayas, che torna in concorso un anno dopo il delizioso Doubles vies, stavolta con lo spy-thriller Wasp Network (nel cast, tra gli altri, Édgar Ramírez, Penélope Cruz, Gael García Bernal e Leonardo Sbaraglia), o il maestro svedese, già Leone d’Oro, Roy Andersson, con Om det oändliga (About Endlessness), con la consueta sovrapposizione poetica di quadri che catturano istanti dell’esistenza.

A proposito di maestri, torna in gara per il Leone d’Oro (otto anni dopo Carnage) Roman Polanski, che in J’accuse ricostruisce minuziosamente tutto “l’affaire Dreyfus” (con Jean Dujardin protagonista), mentre il giapponese Kore-eda (già annunciato come film d’apertura della Mostra) presenta il suo primo lavoro realizzato e ambientato lontano dalla madrepatria, La vérité, interpretato da Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ludivine Sagnier ed Ethan Hawke.

Sempre dalla Francia arriva (ritorna due anni dopo La villa) Robert Guédiguian con Gloria mundi: il solito gruppo di attori/amori/amici (Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan e Anaïs Demoustier), in un film dove emergono l’amarezza, il dolore e l’assenza di speranza.

Mentre Steven Soderbergh, spesso e volentieri presente alla Mostra, esordisce in concorso con The Laundromat (targato Netflix), film incentrato sullo scandalo dei “Panama Papers”, con cast da brividi: Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Sharon Stone e Matthias Schoenaerts.

È la prima volta in gara anche per un film dell’universo DC Comics: Joker di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix e Robert De Niro, “che sulla carta è il prequel del Cavaliere oscuro di Nolan, ma che in realtà non è solamente questo, è un grande film sulle contraddizioni delle metropoli, con due interpreti straordinari”, assicura Barbera, ricordando anche quanto sia poco abituale che una major come la Warner decida di portare i propri film in concorso. L’ultima volta, a Venezia, era accaduto con L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford di Andrew Dominik. Era il 2007.

Altra major presente in gara per il Leone d’Oro è la Fox, che porta al Lido l’attesissimo (ad un certo punto misteriosamente scomparso) Ad Astra di James Gray. Habitué di Cannes (con il precedente, bellissimo Civiltà perduta presentato a Berlino), il grande autore americano fa il suo esordio in concorso a Venezia con un’ambiziosissima sci-fi dal cast sontuoso: Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Donald Sutherland e Ruth Negga.

Ad Astra

A proposito di cast (e non solo) desta molta curiosità il nuovo lavoro di Ciro Guerra, Waiting for the Barbarians, con Mark Rylance e Johnny Depp, stesso dicasi per l’autobiografico Marriage Story di Noah Baumbach (incentrato sulla sua relazione con Jennifer Jason Leigh), con Scarlett Johansson e Adam Driver (secondo e ultimo film Netflix in gara, il terzo della Mostra è il biopic Seberg (nuovo titolo di All Against Enemies) di Benedict Andrews, con Kristen Stewart nei panni di Jean Seberg, Fuori Concorso).

Atom Egoyan riassapora la gara veneziana quattro anni dopo Remember, stavolta con Guest of Honour, mentre la saudita Haifaa Al-Mansour torna al Lido – per la prima volta in concorso con The Perfect Candidate – sette anni dopo l’opera prima La bicicletta verde presentata in Orizzonti. L’altra regista donna in gara per il Leone d’Oro è l’esordiente australiana Shannon Murphy con Babyteeth, “un film sulla malattia come non se ne vedono spesso”, anticipa Barbera.

Che tra le altre sorprese della competizione, segnala A Herdade di Tiago Guedes, “un Novecento portoghese”, Lan xin da ju yuan (Saturday Fiction) di Lou Ye, con Gong Li, melodramma spionistico in bianco e nero, The Painted Bird del ceco Václav Marhoul, “film di circa tre ore, molto violento, una discesa agli inferi spaventosa” e Ji yuan tai qi hao (No. 7 Cherry Lane) di Yonfan, “animazione per adulti ambientata ad Hong Kong nel 1967, nel pieno di turbamenti e violente repressioni politiche”.

Venezia, dell'infinito mondo.

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