“’Per imparare a fare film bisogna fare un film’, diceva Fellini”. Dunque, Ultras, esordio al lungometraggio di finzione di Francesco Lettieri, una lunga e acclamata carriera nella regia di videoclip, da Calcutta a Thegiornalisti, fino al fenomeno Liberato, che qui firma le musiche.

Per tre giorni, 8, 9 e 10 marzo in sala, dal 20 marzo sulla piattaforma streaming, Ultras è un originale Netflix, prodotto da Indigo con Mediaset, scritto da Lettieri con Peppe Fiore, interpretato da Aniello Arena (Sandro), Antonia Truppo (Terry), Ciro Nacca (Angelo), Simone Borrelli (Pechegno), Daniele Vicorito (Gabbiano) e Salvatore Pelliccia (Barabba).

Nel film, Sandro è il quasi cinquantenne capo degli Apache, il gruppo di ultras con cui ha passato tutta la vita: un Daspo gli impedisce di avvicinarsi alla curva, quando incontra Terry si trova a un bivio inedito. Della partita è anche il sedicenne Angelo, per cui gli Apache sono famiglia, Sandro un padre: che cosa il destino ha in serbo per loro?

“La storia del film è nata con Peppe Fiore, viene da un vecchio soggetto per un videoclip di Calcutta sul mondo ultras a Latina: raccontava il mohicano, un daspo e la sua storia d'amore a distanza con la squadra del cuore”, dice Lettieri, che del tifo per il Napoli calcio – mai nominato in Ultras – sottolinea come sia “legato al riscatto del sud, dato che è l’unica squadra che può confrontarsi con quelle del nord”.

Se Lettieri osserva come “rispetto agli ultrà di fine ‘70 e ‘80, quello ultras è un universo meno colorato, più cupo e violento, e in questi ultimi anni il movimento ultras è represso, oggi vive una grande crisi, gli scontri sono sempre più rari”, il co-sceneggiatore Fiore si confessa analfabeta del calcio, sicché mi sono concentrato su sentimenti popolari che parlano a tutti, la malinconia degli apache che attraversa molto il lavoro di Francesco, e anche il romanticismo”.

Insomma, conviene il regista, “il calcio non è il fulcro della questione, più la tribù, la fede”, anche perché “è difficile raccontare il movimento ultras, dagli hooligan all’est Europa, tra Napoli, Milano e Roma le differenze sono importanti”.

Venendo agli attori, Aniello, già protagonista di Reality di Garrone, si dice “non ignorante del mondo ultras, ma ho scoperto tante cose, e ci ho messo del mio, la mia napoletanità”, mentre la Truppo evidenzia come “ogni personaggio sia un vettore narrativo che serve al film, sicché Terry ha il compito di fare vedere quanto Sandro fosse mohicano con gli ultras e in crisi su fronte vita: la mia unica occupazione è stata mettere in difficoltà Aniello”.

Il produttore di Indigo Nicola Giuliano confessa che leggendo il soggetto “la prima sensazione è stata respingente, perché gli ultras sono quanto di più respingente per la cosiddetta società normale, ma dal mio punto di vista qui ci sono alcuni aspetti miracolosi, per esempio la capacità di coniugare il racconto realistico con un passo epico e classico”.

Sulle ascendenze e simmetrie di Ultras, Lettieri cita il doc “Estranei alla massa di Vincenzo Marra: c’erano anche le vite private, mi rimase dentro, non so se senza vederlo avrei fatto Ultras”, mentre Fiore afferma di essersi “rifiutato di vedere Ultrà di Ricky Tognazzi, per non farmi condizionare”, ed elogia di Estranei alla massa la “prossimità affettiva del regista, mai sociologico, anche per noi un punto di partenza”.

Infine, Napoli. Lettieri non accoglie il rinascimento napoletano, giacché “vivevo a Roma fino a qualche tempo fa, poi mi sono ritrovato catapultato a Napoli con i video di Liberato”, ma ammette di aver ricevuto “tanti messaggi di persone di Napoli che si complimentavano anche in maniera esagerata perché c'era quest'idea che stessi raccontando una nuova Napoli diversa da quella che si vede di solito”.

Chiude Giuliano, bypassando insieme la cronaca nera e il disagio sociale quale culla creativa: “Napoli è una città dove nascono grandi registi, sceneggiatori, attori, pittori, fotografi, smettiamo di fare del sociologismo sempre”.