Venezia 75, les jeux sont faits. Terminato con Killing di Shinya Tsukamoto il concorso, inizia come di consueto l'impossibile giochino del TotoLeone.

In attesa del palmares ufficiale - domani, sabato 8 settembre a partire dalle ore 19.00 la cerimonia di premiazione condotta da Michele Riondino - proviamo anche quest'anno ad anticipare il verdetto.

In un'edizione della Mostra, ancora una volta, contraddistina da una qualità medio-alta, la Giuria presieduta da Guillermo del Toro (vincitore lo scorso anno del Leone d'Oro con La forma dell'acqua, poi trionfatore agli Oscar) è chiamata a scelte non proprie semplicissime.

L'unico film che sembrerebbe aver messo d'accordo proprio tutti, tra addetti ai lavori e pubblico, è Roma di Alfonso Cuarón. Targato Netflix (sarebbe la prima grande affermazione festivaliera del colosso USA), il film del regista messicano ha però contro di sé, paradossalmente, quello che sulla carta dovrebbe essere invece il suo più grande alleato: Guillermo del Toro, appunto, amico e socio di Cuarón, addirittura presente nei titoli di coda del film alla voce "ringraziamenti".

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Il presidente di Giuria è stato chiaro sin dall'inizio: "Qui si giudica la qualità delle opere, a prescindere dal paese di provenienza e dal nome del regista", ma è innegabile che una certa pregiudiziale non possa non aleggiare sul film in questione. Film che, Leone d'Oro o meno, sarà comunque sicuramente presente nel Palmares.

L'empasse potrebbe risolversi grazie ad un altro regista messicano, Carlos Reygadas. Che nel fluviale Nuestro tiempo ci mette letteralmente la faccia e tra lirismo e vastità di uno sguardo capace di perdersi nelle meraviglie della natura, riflette sulle dinamiche dell'amore in termini privati e assoluti.

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Altro titolo in orbita "premio grosso", seppur capace di dividere aspramente la critica, è secondo noi Sunset dell'ungherese László Nemes, che dopo l'Oscar per Il figlio di Saul racconta il tramonto dell'Europa all'alba della Prima Guerra Mondiale.

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In tutto questo, come spesso accade, si finisce per dimenticare (considerando che sì, sono passati solamente poco più di 10 giorni, ma sembrano mesi...) il film d'apertura: possibile che l'ottimo First Man di Damien Chazelle resti fuori dal Palmares? Difficile, ma non impossibile.

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E l'ultimo film passato in concorso, il già menzionato Killing di Shinya Tsukamoto? Se il termometro di riferimento dovesse essere l'accoglienza alla prima per la stampa di ieri sera, non ci sarebbero dubbi, il Leone d'Oro sarebbe il suo. Anche perché è l'unico titolo in gara a durare solamente 80', una sorta di miracolo considerata la durata media di quest'anno, abbondantemente sopra le due ore.

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Sulla carta sembrerebbe abbastanza agevole individuare invece le Coppe Volpi: in epoca di #MeToo non sarebbe un segnale da poco assegnare quella per la migliore interpretazione femminile alle tre protagoniste di The Favourite di Yorgos Lanthimos, ovvero Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz, ma attenzione anche ad Aisling Franciosi, protagonista del discutibile The Nightingale, che verrà ricordato in questa edizione perché unico film di una regista donna in concorso, Jennifer Kent.

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Classe 1993, l'attrice di origini italiane (qualche serie tv alle spalle e, al cinema, solamente una parte in Jimmy's Hall di Ken Loach) potrebbe comunque accaparrarsi il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente.

Riconoscimento che potrebbe andare anche alla nostra Marianna Fontana per Capri Revolution. O al giovane protagonista di 22 July di Paul Greengrass, Jonas Strand Gravli, che interpreta un sopravvissuto alla strage di Utoya del 2011. Senza dimenticare la Lali Espósito di Acusada, cantante e attrice argentina che in patria ha un seguito straordinario.

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Sul versante maschile, invece, tutto lascerebbe supporre che il Van Gogh di Willem Dafoe in At Eternity's Gate di Julian Schnabel non abbia rivali. Ma visto che di scontato non c'è mai nulla, attenzione a John C. Reilly, protagonista (e produttore) di The Sisters Brothers di Jacques Audiard.

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Sempre sulla carta, e mai come in questo caso visto che parliamo del premio alla migliore sceneggiatura, Double vies di Olivier Assayas è il candidato numero uno.

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E l'Italia? La domanda è lecita. La risposta è affidata al fato. Hai visto mai che da amante dei mostri qual è (cosa che dichiarò proprio un anno fa qui al Lido), Guillermo del Toro non si sia perdutamente innamorato delle streghe del Suspiria di Luca Guadagnino? O dell'indiscutibile magia intrisa nella Capri Revolution di Martone? Chissà.

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Quel che è certo, e non bisogna andare troppo indietro negli anni, è che l'ultimo presidente di giuria messicano a Venezia assegnò il Leone d'Oro al più insospettabile dei film. Era il 2015, ad aggiudicarsi il premio più importante fu l'opera prima del venezuelano Lorenzo Virgas, Desdé Alla (Ti guardo). Il presidente di giuria era Alfonso Cuarón.