“Io e Robert De Niro volevamo fare un altro film insieme, dopo Casino del 1995, e aspettavamo l’occasione giusta. Bob ha ricevuto questo libro, The Irishman di Charles Brandt, e mi ha detto di dargli un’occhiata: mi ha descritto il personaggio di Frank, s’è molto emozionato, l’ho sentito, ed era sufficiente per fare insieme qualcosa di speciale”.

Parola di Martin Scorsese, che porta alla Festa di Roma il nuovo, atteso The Irishman, che arriverà in sala il 4 novembre e il 27 sulla piattaforma Netflix che produce.

Nel cast De Niro, nel ruolo del veterano e sicario Frank Sheeran, Al Pacino, ovvero il leggendario sindacalista Jimmy Hoffa, e Joe Pesci, alias Russell Bufalino, questo gangster movie crepuscolare inquadra – dice Scorsese – “l'età, il tempo, la mortalità, l’amore, il tradimento e il rimorso, alla fine la mortalità di tutti noi.

Quel che è contemporaneo è il cuore umano, e i conflitti morali: il film viene narrato nel passato, ma l'esperienza umana immediata è questa, e alcuni aspetti possono essere accessibili anche a chi non c'era allora”. Il regista non nega un “aspetto religioso, parliamo di condizione umana, il nostro è un tentativo di contemplazione astratto, di spirito” e aggiusta la melanconia: “C'è, ma con agio, Frank ha tagliato i ponti con la famiglia, però tutto quel conflitto e violenza appartiene a passato, nessuno se lo ricorda. La malinconia è accettazione che la morte è parte della vita”.

Già, che mafia movie è The Irishman? “Non ho sentito il bisogno di esaltare un personaggio criminale, alla Scarface. In quel caso il pubblico chiedeva che il gangster idealizzato alla fine cadesse per una reazione catartica, qui non c’è bisogno, tutto è nel passato, le decisioni prese, quasi come in ambiente militare le cose vanno fatte. Non abbiamo mai pensato a rendere spettacolare la storia, lo spettacolo è interiore”.

Sui suoi due protagonisti, De Niro: “Non abbiamo manco dovuto parlarci tanto, mi son detto, so come va fatto questo film, con una narrazione nuda, senza spiegare tutto, rimanendo attaccato a un personaggio che non sa tutto così come ciascuno di noi. Ci sono cose fuori dal nostro controllo di esseri mortali”; Pacino: “Avevamo un progetto su Modigliani negli Anni Ottanta, abbiamo sempre voluto lavorare insieme, ma senza mai riuscirci. L’idea che incarnasse Hoffa è stata di De Niro: si rispettano, si vogliono bene, io sono di passaggio, il loro rapporto è molto forte”.

Scorsese ha voluto fossero sempre loro in scena, anziché impiegare giovani attori per la gioventù dei rispettivi personaggi è ricorso alla CGI per svecchiarli: “Volevo fare il film con i mie amici, a Hollywood non potevano raccogliere abbastanza soldi perché potessi impiegare questa tecnologia, viceversa, è arrivata Netflix, ci ha dato soldi, tempo e tutta la libertà creativa di cui avevamo bisogno”.

Il regista ricusa il parallelo con C’era una volta in America di Leone, “ma va bene così”, e sopra tutto la critica, l’ennesima, sulla mancanza di donne nel suo cinema: “E L’età dell’innocenza, e Casino? Basta, ho 76 anni, non ho più tempo per rispondere a questa domanda”.

Il regista italoamericano affonda poi sulla polemica Netflix, che appunto l’ha prodotto: “Per vedere un film in sala lo devi vedere, deve essere fatto. I film che ho avuto la fortuna di riuscire a fare, ognuno ha un suo universo, che ne so, il potere di star quali De Niro o Di Caprio, ma ora non si possono fare più così: se avessi trent'anni di meno, non sarei stato in grado di farli. Con Netflix ho fatto uno scambio, la possibilità di vedere The Irishman in streaming anche quando era al cinema, e per me è un buon scambio. Alcuni miei film sono rimasti al cinema per due settimane e poi basta, quattro settimane in sale era già una buona cosa, Re per una notte è rimasto due. Ripeto, l’unico modo per fare un film per me è farlo”. Insomma, “abbiamo fatto il nostro film, e Netflix ci ha supportato”.

Ancora, “l’autore non ha il controllo sul modo in cui si vedrà il suo film: oggi ci sono possibilità infinite. Spero i cinema continuino a sostenere film di narrazione come questi, che ci siano sale dove vederli. Perché oggi le sale cercano i parchi di divertimento, come chiamo i cinefumetti: si possono fare ma non dovrebbero diventare ciò che i nostri giovani credono sia cinema”.