“Non vogliamo trovare chi l'ha ucciso, quel che è successo quella notte è successo quella notte”. Parola del regista Abel Ferrara, che porta in Concorso alla 71. Mostra di Venezia Pasolini, tornando all'ultima notte del poeta, scrittore, saggista, regista, attore  e sceneggiatore, quella tra il 1° e il 2 novembre 1975, quando venne assassinato.
Dal 25 settembre nelle nostre sale con Europictures in versione originale e doppiata in italiano (Fabrizio Gifuni), il film è interpretato da Willem Dafoe nei panni di PPP, Ninetto Davoli in quelli di Epifanio ovvero Eduardo De Filippo, Riccardo Scamarcio in quelli di Ninetto Davoli, Maria De Medeiros per Laura Betti, Adriana Asti per la madre Susanna Pasolini, mentre Furio Colombo, autore dell'ultima, celebre intervista a PPP è Francesco Siciliano. Parlato in italiano, romano (i ragazzi di vita) e, soprattutto, inglese, il film sovrappone alle ultime due interviste concesse da Pier Paolo, quella appunto a Colombo per La Stampa e a una tv francese, all'immaginario desunto da Ferrara da alcuni capitoli del romanzo Petrolio e dalla sceneggiatura non trasformata di Porno-Teo-Kolossal, con Scamarcio Davoli e Davoli Eduardo.
Sceneggiato da Massimo Braucci, confuta la tesi del complotto sulla morte sostenuta dagli intellettuali di sinistra e ascrive il tragico epilogo di Paoslini a Pino Pelosi e alcuni balordi: “Molte cose dette non passano un esame accurato. Noi con un film otteniamo pezzi di realtà, altri hanno fatto l'opposto. Questa non è un'inchiesta giudiziaria, bensì letteraria – dice Braucci – e accoglie l'esito del primo processo del '76, basato sul lavoro di Faustino Durante: un buon processo, con il verdetto di ‘omicidio in concorso con ignoti'”. “Non è un giallo, non è un'indagine”, gli fa eco Dafoe, mentre Ferrara rispedisce al mittente apparentamenti troppo stretti tra lui e Pasolini: “La differenza? Io sono cresciuto guardando i suoi film, lui no. Da buddista quale sono, medito sul mio maestro”.
Davoli parla di un film realizzato con “grande onestà, attento alla realtà, sebbene non bastino le ultime 48 ore della sua vita per raccontare Pasolini”, mentre Dafoe sottolinea di non “aver rappresentato, interpretato Pier Paolo, ma incarnato le sue riflessioni, i suoi pensieri”.
Ma quale è il merito principale del film? Secondo il montatore Fabio Nunziata, “quello di avvicinarsi all'umanità, la verità umana di PPP: per 40 anni si è discusso sulla sua morte, sul complotto, sull'ipotesi dei siciliani, ma tutto questo ne ha oscurato la grandezza. Viceversa, qui si racconta l'importanza della morte nella sua vita: Pasolini è un mito, una divinità moderna, e solo un regista straniero come Abel poteva farlo”.
Nel cast anche Scamarcio, che confessa “un senso di militanza per Abel: è molto energetico sul set, gira ogni scena come se fosse l'ultima. Da buon soldatino quando chiama vado e seguo il maestro… L'atmosfera sul  set è stata quella che mia spettavo, fedele a Pasolini”.
Sulla straniante lingua inglese messa in bocca al Pasolini di Dafoe, infine, Ferrara spiega: “Come Willem, sono americano, e io nemmeno parlo italiano: le cose che dice le avremmo potute esprimere solo nella nostra lingua, mentre il romanesco dei ragazzi di vita è una scelta artistica e creativa. Non solo, questo film non è Pasolini, Roma, 1975, per me potrebbe essere a New York ieri notte, con un ricco e famoso su una bella macchina che a Brooklyn rimorchia ragazzi dominicani”. Conclude Dafoe, “il nostro è un omaggio onesto a Pasolini e l'Italia”.