"Messi rappresenta l'argentino che tutti noi vorremmo essere. Maradona invece è l'argentino che siamo". E' forse questa la sintesi migliore sull'ormai annoso paragone tra i due fuoriclasse calcistici. Confronto immancabile anche nel film di Alex de la Iglesia dedicato alla "pulce", Messi, titolo che il prossimo 6 settembre chiuderà le Giornate degli Autori al Festival di Venezia.

Immagini di repertorio mescolate ad una ricostruzione filmica che ci riporta all'infanzia di uno tra i calciatori più forti della storia, oltre agli interventi di chi, a Rosario, c'è cresciuto insieme, gli amici e le maestre di scuola, più alcuni giornalisti sportivi e mostri sacri del pallone come Johan Cruijff, Jorge Valdano, i ct argentini César Luis Menotti, Alejandro Sabella e vari compagni di squadra del Barcellona, come Piqué, Iniesta, Mascherano e Pinto. Tutti riuniti in una simbolica cena per raccontare aneddoti e celebrare il talento di Lionel Messi. Chissà se il quattro volte Pallone d'Oro (nonché detentore di una serie infinita di record relativi al numero di goal segnati...) sarebbe mai diventato il fenomeno che è se, da bambino, non avesse avuto quella nonna a buttarlo nella mischia già all'età di quattro anni. Nonna, morta qualche anno fa, alla quale Leo dedica ogni rete con l'esultanza dita e occhi al cielo che oramai lo contraddistingue da tempo. Quel che è certo, lo dice la storia, è che l'unico club che scommise davvero sul suo incredibile talento fu il Barcellona: il padre Jorge lo portò via dal Newell's quando, a 13 anni, il club si rifiutò di sobbarcarsi le spese della costosa cura per la crescita cui il ragazzo doveva sottoporsi. Ma non fu semplicissimo ottenere il contratto dal Barca, né tanto meno abituarsi all'idea di vivere lontano dagli affetti più cari e dagli amati quartieri di Rosario. Per diventare "il più grande giocatore del mondo", però, Leo ha saputo soffrire, ha saputo aspettare. Fino all'indimenticabile esordio in prima squadra, a sedici anni, il 16 ottobre 2004 contro l'Espanyol: è il terzo giocatore più giovane a vestire la maglia del Barcellona e il più giovane di sempre a esordire nella Liga spagnola.

Gestito sapientemente dal tecnico Frank Rijkaard, Messi viene accolto nel gruppo delle stelle blaugrana, una su tutte: Ronaldinho. E' l'inizio di una storia che sembra ormai antichissima: dieci anni dopo, oggi, Messi ha solamente 27 anni. E grazie all'era Guardiola - che, non appena arrivato nel 2008 decise coraggiosamente di fare a meno di Ronaldinho, di "decentrare" Eto'o e di trasformare la "pulce" in falso nueve (intuizione che precedentemente ebbe Luciano Spalletti con Francesco Totti nella Roma) - è diventato di fatto il leader indiscusso di una tra le più grandi squadre di calcio di sempre.

"Un leader silenzioso", che ha "trovato al Barca le condizioni che non avrebbe trovato nella maggior parte delle società. Essendo senza discussioni il miglior giocatore del mondo". Parola di César Luis Menotti. Uno che, quando allenava Maradona, dopo averlo fatto uscire dallo spogliatoio chiese al resto della squadra: "Quanti palloni vogliamo far arrivare a Diego?". "Tutti", risposero i compagni. Perché con gente come Maradona, o Messi, l'unico approdo sicuro per un pallone è in mezzo ai loro piedi.

Maradona e Messi, Messi o Maradona? Alla fine, Menotti si sottrae all'impaccio: "Come Pelè non ci sarà mai nessuno". Giusto, Pelè. Al quale il cinema ha dedicato un biopic che doveva essere pronto in concomitanza con i recenti mondiali brasiliani: chi l'ha visto?... Messi ha dribblato O Rei.