“Stare al mondo è complesso e non possiamo che misurarci con questa complessità”. Parola di Mario Martone, che oggi ha presentato il suo film Capri - Revolution, nelle sale il 20 dicembre con 01 distribution a distanza di qualche mese dal passaggio in concorso alla Mostra di Venezia.

Protagonista è una giovane capraia di nome Lucia (Marianna Fontana), che vive a Capri insieme alla madre (Donatella Finocchiaro) e ai suoi fratelli. Era il 1914 e l’Italia stava per entrare in guerra e proprio su quell’isola, dove la montagna dolomitica precipita nelle acque del Mediterraneo, una comune di giovani nordeuropei guidata da Seybu (Reinout Scholten van Aschat) trovò il luogo ideale per la propria ricerca nell’arte e nella vita. La giovane ragazza, proveniente da una famiglia tradizionale di contadini, si avvicinerà a questa comune, innamorandosi di quest’utopia e aprendosi verso l’ignoto e verso la libertà.

“Nel film c’è un costante rapporto tra il molto piccolo e il molto grande, tra quello che è intimo e la volta del cielo sopra Capri, tra esperienza individuale e il senso della storia che sta per arrivare con l’avvento della prima guerra mondiale”, spiega Martone che ha voluto raccontare insieme alla storica dell’arte Ippolita Di Majo, con la quale ha scritto il soggetto e la sceneggiatura del film, già sua collaboratrice in Noi credevamo (2010) nonché autrice, tra gli altri, del libro che ha ispirato Il giovane favoloso (2014): “Una serie di giovani che vogliono rompere delle gabbie”.

“Ciò che muove le cose al mondo è il movimento e lo spostamento e lo dico in un momento storico in cui si vuole invece chiudere - dice il regista napoletano -. Il movimento è ciò che ci fa vivi e non va bloccato e questa energia va riproposta a maggior ragione in un momento storico in cui i luoghi, le geografie del mondo e i confronti sono irrigiditi. Ci stiamo davvero abbrutendo non posso non pensare alle pietre d’inciampo rubate a Roma. Nel libro Capri Revolution ci sono le immagini storiche della comune di Capri e rimandano ad anni che non ho vissuto direttamente, come il 1968. Nel ’68 avevo otto anni: era un periodo di grande movimento e di grande stare insieme nelle arti”.

Questo film è un viaggio nella comune di Karl Wilhelm Diefenbach che tra il 1910 e il 1913 visse effettivamente sull’isola con una comunità di artisti che praticavano l’arte come forma di impegno politico (la cui filosofia deriva da concetti che saranno elaborati molti anni più avanti da Joseph Beuys). Alla cui figura si contrappone quella razionalista del medico del paese Carlo (Antonio Folletto). Proprio negli stessi anni i russi, esuli a Capri, si preparavano alla rivoluzione. “Carlo è un socialista scientifico che crede nel cambiamento che viene dal popolo e dall’agire. Ha lo sguardo del dottore che è distaccato verso le persone e allo stesso tempo caldo”, dice Folletto a proposito del suo personaggio. Marianna Fontana dice: “Mi ha affascinato la ribellione di Lucia e la libertà che vuole a tutti i costi”.

E Donatella Finocchiaro nel ruolo di questa mamma fatta di non detti e di impliciti: “E’ una sorpresa la modernità di questa donna. Vive questo conflitto tra lasciare andare la figlia e il tenerla con sé. E’ un film di formazione che dovrebbero vedere tutti i ragazzi e tratta tanti argomenti come la spiritualità, il progresso, la medicina e l’omeopatia”. Infine Eduardo Scarpetta nelle vesti di uno dei due fratelli di Lucia dice: “Siamo le ancore che non si vogliono sollevare. Non siamo aperti all’apertura. Non è che ci fa paura l’altro, ma non ne vogliamo proprio sapere nulla. E consideriamo l’apertura di nostra sorella verso queste persone che ballano nude nel bosco una pazzia. Lei vuole cambiare il mondo, noi invece non vogliamo cambiare nulla”.

“Per confronto intendo dire che si può ragionare basandosi sull’idea che non esistono verità assolute. Il vero è il dubbio. Nel dubbio fai anche tante cavolate però sei vivo. Il messaggio è sempre quello leopardiano: è il dubbio, la dialettica che conta, ma questo lo diceva anche Gramsci. Oggi manca la capacità di confronto. Ma ogni volta che tu neghi l’altro neghi lo sguardo sulla parte negativa di te stesso, non sull’altro”, conclude Martone.