La sofferenza di Cristo, ciclica come le stagioni, torna ogni anno a rivivere nei volti e nelle movenze dei cittadini di Erto, paesino delle Alpi Friulane travolto, nel 1963, dal disastro della diga del Vajont. La catastrofe immane è rievocata, in questa curiosa Passione di Erto della regista Penelope Bortoluzzi - sezione doc italiani a Torino - , in maniera insolita e obliqua, operando accostamenti e inediti parallelismi da un lato e opposizioni simboliche dall'altro.
L'umiliazione, il dolore e infine la morte della Divinità, evento sconvolgente e irripetibile, sembra qui farsi metafora e specchio di un'altra tragedia non meno disastrosa che giunge a rompere per sempre equilibri apparentemente eterni. Il merito maggiore della Bortoluzzi consiste nel tentativo di armonizzare il linguaggio espressivo, mediando, grazie a un montaggio attento, fra repertorio d'archivio e girato moderno.
I filmati d'epoca inquadrano visi di Ertani, uomini e donne, segnati dal senso di perdita ma inesorabilmente ostinati a ricostruire la comunità dopo il disastro e nonostante l'opposizione di un governo lontano, assente, ridotto a poco più d'un nome: gente dura gli abitanti di Erto, gente di montagna. Dall'altra parte, abbiamo modo di seguire le prove del dramma sacro che ancora, ai giorni nostri, si rappresenta per le vie e i monti di Erto, sotto un cielo plumbeo. Non un solo anno dopo quel fatale '63 (ci viene ricordato più e più volte nel corso della visione), Erto ha mancato di rinnovare la messa in scena della Passione di Gesù di Nazareth, quasi a volerne esaltare la valenza di atto sacrificale o di riscatto simbolico nei confronti di un'intera comunità, annientata dalla furia degli elementi e dall'incuria dell'uomo. Cristo, Giuda, Pietro e Pilato hanno dunque gli occhi e le parole dal marcato accento dialettale di uomini comuni, dai volti poco curati e che recano i segni dell'età che avanza e del lavoro sfiancante d'una vita; la recitazione amatoriale di cui danno prova è essa stessa doppia maschera di finzione, di uomini comuni che recitano un finto teatro all'interno di una cornice narrativa cinematografica.
Nonostante questo, ma forse proprio per questo, il dramma della Passione messo in scena ai giorni nostri, spicca per il marchio da essi impresso, marchio di un'umanità silente e dolente ma che, proprio come il Cristo portacroce, nella lotta contro gli sconvolgimenti della natura e i disastri favoriti dall'uomo, trova sempre una via, per quanto sotterranea, di sopravvivere.