Se si escludono Revenant – Redivivo (proiettato a Hollywood nel dicembre 2015), 21 grammi e Birdman (anteprime alla Mostra di Venezia nel 2003 e nel 2014), tutte le opere di Alejandro Gonzalez Iñárritu sono passate dal Festival di Cannes, che quest’anno ha deciso di celebrare il proprio proficuo rapporto col cineasta messicano nominandolo Presidente di Giuria e facendo così di lui il primo autore latinoamericano a ricoprire tale ruolo. Un nuovo traguardo da affiancare a quello di primo regista non caucasico arrivato a vincere due Oscar consecutivi.

“Cannes è un festival che per me è stato importante sin dall’inizio della mia carriera”, ha dichiarato Iñárritu, definendosi onorato ed entusiasta del prestigioso incarico assegnatogli dal presidente Pierre Lescure e dal direttore artistico Thierry Frémaux.

“Il cinema scorre nelle vene del pianeta e questo festival ne è il cuore. Noi della giuria avremo il privilegio di assistere al nuovo ed eccellente lavoro di colleghi cineasti provenienti da tutto il mondo. È una vera gioia e una responsabilità che ci assumeremo con passione e devozione”.

L’esordio di Iñárritu sulla Croisette coincide con quello cinematografico, Amores perros (film che segna anche il debutto di Gael García Bernal), presentato durante la Settimana della Critica nel 2000. Per approdare al concorso deve però attendere il 2006, quando Babel, capitolo conclusivo della “Trilogia sulla morte”, gli assicura il premio per la miglior regia.

L’anno successivo viene presentato fuori concorso Chacun son cinéma ou Ce petit coup au cœur quand la lumière s'éteint et que le film commence, lungometraggio collettivo a tema cinematografico che contiene anche un episodio firmato da Iñárritu (Anna).

Dopo la rottura con Guillermo Arriaga, il regista approda a Cannes con il primo film non scritto dall’ex amico sceneggiatore, ossia Biutiful (2010), che vale al protagonista Javier Bardem la Palma come miglior attore (con successiva candidatura all’Oscar). E nel 2017 Iñárritu torna a Cannes in virtù di un esperimento che lo porta a esplorare una dimensione per lui del tutto inedita: quella della realtà virtuale.

Prodotta da Legendary Entertainment e Fondazione Prada e realizzata insieme al fido direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, CARNE y ARENA (Virtually Present, Physically Invisible) è un’installazione concepita per far provare al pubblico gli stessi sentimenti che animano un immigrato messicano nell’atto di attraversare il confine con gli Stati Uniti.

Un atto socio-politico nato per dar voce a tragedia contemporanea, ma così forte dal punto di vista estetico da ottenere un Oscar speciale in quanto “esperienza narrativa visionaria e di grande potenza”. Basti pensare che l’ultima a vincerlo è stata la Pixar nel 1996, grazie a Toy Story.

Nel succedere a Cate Blanchett (che aveva lavorato con lui nel già citato Babel) in qualità di presidente, Iñárritu si prepara a portare nella Giuria di Cannes un punto di vista peculiare, interessato soprattutto alla dimensione cosmica del tempo, alle complessità stratificata del reale e al dramma della fallibilità umana.

Come ha detto lui stesso (ostile al culto degli eroi infallibili) sulla propria attività registica: “Cerco di ritrarre gli esseri umani nella loro complessità perché credo che nessuno sia buono o cattivo. Abbiamo tutti le nostre debolezze e i nostri punti di forza. E la maggior parte delle volte sono l’ignoranza e la paura a muovere le persone, spesso causando negli altri molto dolore”.