“All'inizio nutrivo dei dubbi, temevo fosse una sorta di epitaffio da vivo. Poi mi hanno spiegato che non sarebbe stato un lavoro autocelebrativo, ma un documentario dove avrei dovuto raccontare in assoluta sincerità la mia persona. E mi fa piacere poterlo dedicare al mio pubblico, alla gente del mio quartiere, che mi segue ormai da 34 anni”. Verdone racconta Carlo!, il doc realizzato da Gianfranco Giagni e Fabio Ferzetti, presentato allo scorso Festival di Roma e tra qualche giorno sugli schermi: il 3, 4, 5 giugno nelle 36 sale del circuito The Space Cinema come evento esclusivo The Space Extra.
“Il progetto nasce da un'idea di Giagni, dice Ferzetti, fare un film su Carlo dopo che aveva superato i 30 anni di attività, ragionando su un particolare forse unico nel panorama del nostro cinema, dato dal sospetto che i film di Verdone funzionino ogni volta come una sorta di inconfessata autoanalisi”. Un viaggio attraverso i luoghi più tipici del cinema dell'attore e regista romano, da Ponte Sisto a Ostia, fino agli studios di Cinecittà: “Mi sono imposto di non prepararmi nulla, una libertà che ha condizionato anche tutti quelli che sono intervenuti con le varie testimonianze, tra colleghi, critici, familiari e persone della strada”, dice Verdone, che aggiunge: “Un flusso di ricordi impreziosito anche da molti filmini in super8 realizzati in famiglia o con gli amici, e poi quell'ultimo sguardo alla casa di famiglia in Lungotevere dei Vallati, ormai dismessa, prima di riconsegnarla al Vaticano. Ma la sequenza in cui mi ritrovo nella camera dei miei genitori non ho ancora avuto il coraggio di vederla…”.
L'intuizione per personaggi nati osservando i vicini e la gente del quartiere, i primi passi in tv (Non stop, 1979), l'esordio come regista grazie a Sergio Leone (Un sacco bello, 1980), la conferma con Bianco, rosso e Verdone l'anno successivo: “Poi quattro mesi di silenzio assoluto, se ne andarono tutti, convinti che ormai le mie cartucce me le fossi sparate, che oltre quei personaggi non avevo più molto da raccontare”, spiega Verdone, che ricorda: “E invece arrivò Mario Cecchi Gori, mi disse di voler fare un film con me, affascinato dal personaggio dell'emigrante di Bianco, rosso e Verdone. Ma voleva un film senza maschere, e da lì nacque Borotalco: il grande successo di quel film mi rimise in corsa, verso un cinema più regolare che abbandonasse progressivamente i caratteri”. Ma che non dimenticò i caratteristi, dagli habitué Mario Brega e la Sora Lella, fino ai vari Angelo Infanti o Angelo Bernabucci (Compagni di scuola) : “La commedia italiana, purtroppo, non tornerà mai più ai fasti di un tempo proprio perché non vengono più utilizzati i caratteristi, che molto spesso rimanevano impressi al pubblico più dei protagonisti – dice amaramente Verdone - . Oggi tutti vogliono fare almeno i non protagonisti, non capendo che come caratteristi potrebbero lavorare sempre, anche i produttori e i loro agenti dovrebbero capirlo. Quello che manca oggi, e che mi ha permesso di rimanere in piedi dopo 34 anni, è l'umiltà”. La stessa con cui, dopo una vita da “commediante”, è arrivato sul set de La grande bellezza a farsi dirigere da Paolo Sorrentino: “Quando un attore di commedia diventa un beniamino del pubblico è difficile cambiare rotta perché rischieresti di privare il pubblico di un ansiolitico. Ora l'ho fatto perché i tempi erano maturi, bisogna trovare dei copioni buoni. Il mancato premio a Cannes? Ma alla fine è un gioco, anni fa ero in giuria a Venezia: eravamo tutti compatti su un film, poi alla fine ne vedemmo un altro che scombussolò tutti i nostri ragionamenti. Quello che conta è che il film di Paolo fosse a Cannes e il bel riscontro di pubblico che sta avendo in sala”. Riscontro sul quale Carlo! potrà far affidamento solamente il 3-4-5 giugno: “Sono contento lo stesso, usciamo in sala come i Led Zeppelin, un paio di giorni, mi sento come Jimmy Page”, dice sorridendo Verdone. “Whole Lotta Love?”.