Mancano quattro mesi all’anniversario ma siamo già entrati nel vivo delle celebrazioni. Cent’anni fa nasceva Alberto Sordi e le iniziative in programma sono tante, su tutte la grande mostra nella villa romana dell’attore destinata entro l’anno a diventare un museo permanente. Com’è consuetudine in queste occasioni, arrivano anche gli omaggi in forma di documentario.

Al divo Fabrizio Corallo ha dedicato Siamo tutti Alberto Sordi?, prodotto da Dean Film e Surf Film con Istituto Luce Cinecittà: presentato in anteprima alle 20:30 al Teatro Argentina, sarà trasmesso prima su Sky Arte il 12 aprile alle 21:15 e poi su La7 il 10 giugno alle 21:30.

Alberto Sordi posato sul terrazzo della sua villa romana durante una intervista. 1974 (Reporters Associati & Archivi Srl)

Non nuovo a questo tipo di operazioni, Corallo si concentra ancora su un mattatore della commedia all’italiana dopo la recente, felice esperienza di “Sono Gassman!” Vittorio re della commedia. Tuttavia, è subito evidente quanto la differenza sia sostanziale. Se nel doc su Gassman poteva contare – oltreché sugli interventi di studiosi – soprattutto sul coinvolgimento di amici e parenti, offrendo così un ritratto intimo e affettuoso pur senza rinunciare alla dimensione del saggio critico, con Sordi la questione è più complessa.

Chiaramente c’è un problema semplice: molti dei colleghi di Sordi non ci sono più. A conti fatti, tra gli intervistati, accanto a persone che a vario titolo gli sono state vicine (Walter Veltroni, Gigliola Scola, Gloria Satta, Paola Comin, Francesco Rutelli, Enrico Vanzina, Vincenzo Mollica) o critici e studiosi (Goffredo Fofi, Masolino D’Amico, Valerio Caprara, Paolo Mieli, Pietrangelo Buttafuoco, Michele Serra), non sono molti coloro che hanno avuto rapporti sul set con lui.

Giovanna Ralli (Un eroe dei nostri tempi), Valeria Marini (Incontri proibiti), Marco Risi (assistente in Polvere di stelle), Brunetta Parmesan (costumista), Christian De Sica (Il malato immaginario nonché figlio di Vittorio, faro di Sordi), Carlo Verdone (In viaggio con papà). Quest’ultimo, negli anni, è diventato a suo modo anche il principale custode della memoria del divo, peraltro autore con il fratello Luca di un altro documentario, Alberto il grande, realizzato nel 2013 per il decennale della morte.

Come spesso accade, Verdone è colui che propone il punto di vista più interessante sulla differenza tra immagine pubblica e persona privata. Da una parte, ricorda la componente anarchica e futurista del primo Sordi, aspetto spesso sottovalutato rispetto al racconto del cosiddetto “italiano medio”. Dall’altra, sottolinea l’austerità della vita domestica, con le tapparelle abbassate per tre quarti a rappresentare il cupo orizzonte claustrofobico di una villa-mausoleo.

Poiché il titolo Siamo tutti Alberto Sordi? è abbastanza preciso, dovremmo chiederci se il documentario risponde effettivamente all’interrogativo. Che è piuttosto interessante, perché, a forza di presentare Sordi come colui che ha meglio di tutti raccontato l’italiano medio al cinema, abbiamo finito per accomodarci su una lettura fin troppo facile. Interpretando personaggi cialtroni, amorali, cinici, vigliacchi, Sordi rappresentava se stesso o criticava un certo tipo di italiano?

Alberto Sordi posato sorridente in camerino con la vestaglia durante la pausa sul set di un film. 16.03.1957 (Reporters Associati & Archivi Srl)

A differenza degli altri colonnelli, attivava un sofisticato processo d’identificazione con il pubblico che lo rendeva talmente respingente da essere naturalmente simpatico. Il segreto di Sordi è tutto qui: come ha fatto un uomo così moralista e conservatore a diventare un attore tanto rivoluzionario e spudorato? Basta vedere le spietate performance degli anni Cinquanta, da Piccola posta a Il marito fino a Il vedovo. E osservare il passaggio che, da La grande guerra in poi, ne svela le straordinarie contraddizioni che gli permisero slanci inediti (la svolta partigiana di Tutti a casa e Una vita difficile) e scelte anticonvenzionali (Mafioso, Il boom, Il diavolo).

Quando arriva alla fine degli anni Sessanta, il documentario sembra seguire quella tendenza alla “monumentalizzazione” che lo stesso Sordi in vita assecondò di buon grado. La decisione di diventare regista di se stesso è, tutto sommato, trattata senza ombre, ma è onestamente difficile accettare tanto talento sprecato in film pur dai soggetti intriganti (i profetici Tutti dentro e Assolto per aver commesso il fatto su tutti).

Ma ciò che, a poco a poco, emerge con forza è l’impenetrabilità del mistero oltre il monumento. Certo, troviamo anche il rapporto con le donne (con Silvana Mangano impossibile moglie ideale) e la beneficenza tenuta nascosta. Ma sono elementi che contribuiscono ad accrescere l’inaccessibilità alla comprensione di un uomo che ha dedicato la vita al cinema. Lasciando che il cinema diventasse la chiave di lettura della vita.

Per rispondere al titolo: no, non siamo tutti Alberto Sordi. Nessuno come lui è stato l’italiano del secolo, perché, come sosteneva l’amico Ettore Scola, nel suo animo convivevano mille contraddizioni. “Mostro” e censore, dissacratore e borghese, sovversivo e democristiano. Inventore di caratteri che esponevano le nostre bassezze non per compiacerci ma per indicarne il lato perturbante.

Tutti crediamo di conoscerlo. Ci piace pensare di avergli delegato la rappresentazione del nostro peggio: per riconoscerci in segreto e autoassolverci pubblicamente. In realtà, nonostante noi, Alberto Sordi è un mistero e resterà tale: forse è la sua fortuna.