“Non so se sono un grande narratore, ma sento comunque una grande responsabilità quando voglio raccontare qualcosa”.

James Mangold è in Italia, a Roma, per presentare il suo nuovo film, Le Mans ’66 – La grande sfida (Ford v Ferrari il titolo originale), che 20th Century Fox porterà nelle sale dal 14 novembre.

Il regista James Mangold

La storia (vera) è quella dell’ex pilota Carroll Shelby (Matt Damon), ingaggiato dalla Ford Motor Company per progettare e costruire una rivoluzionaria auto da corsa in grado di sfidare gli imbattibili gioielli di Enzo Ferrari alla 24Ore di Le Mans, e dell’intrepido pilota britannico Ken Miles (Christian Bale), che nel 1966 stupì il mondo alla guida della mitica Ford GT40 proprio in quella competizione tanto affascinante quanto massacrante.

“Mi sono molto immedesimato nello sforzo di questi due uomini, Shelby e Miles, di progettare, costruire, testare auto vincenti. A ben vedere è molto simile al nostro mondo, dove con molti soldi a disposizione siamo chiamati a inventare qualcosa di vincente, che resti impresso, come possono essere i film”, dice ancora Mangold, che riflette anche sul parallelismo tra lo sport e il cinema.

Le Mans '66 - La grande sfida

“Proprio in quel periodo le aziende iniziano a rendersi conto del valore promozionale dello sport. Ora da questo punto di vista è cinque volte peggio. E lo stesso vale per il cinema, dove c'è sempre il confine indefinito tra arte e industria”.

Ma cosa ha spinto il regista di Cop Land, Quando l’amore brucia l’anima e Logan (tra gli altri) a scendere in pista per realizzare un film sul mondo delle corse automobilistiche, genere che non ha mai portato troppa fortuna al botteghino?

“Ovviamente a muovermi è stato l’amore per la storia: è vero, c’è l’azione, la battaglia in pista, ma quello che c’è dietro è una vicenda che non conoscono in molti”, spiega ancora Mangold, che prosegue: “Poi ritengo che l’automobile sia una potente metafora del Novecento ed è un mezzo molto interessante anche dal punto di vista cinematografico, non solo dal punto di vista tecnico ma emotivo: in fondo siamo una persona quando camminiamo per strada e poi ci trasformiamo in qualcun altro come ci mettiamo dietro a un volante”.

La vera sfida però è stata quella di “rendere sullo schermo qualcosa di avvincente, perché quando vediamo le gare in tv con le auto che si sorpassano sembra di vedere dei puntini inanimati su uno schermo. Cosa succede dentro l'auto? Cosa prova il pilota?”

Oltre ai due protagonisti (“Lavorare con Bale e Damon è stato facile, a loro piace recitare e non amano essere star”, dice il regista, che con Bale aveva già collaborato per Quel treno per Yuma nel 2007) nel film il drammaturgo premio Pulitzer Tracy Letts interpreta Henry Ford II mentre il nostro Remo Girone presta il volto per Enzo Ferrari: “Il nostro mestiere si basa su queste grande occasioni – dice l’attore italiano –. È stato bello poter interpretare un personaggio così importante per il nostro paese così riconosciuto a livello internazionale. Lo dimostra il fatto che durante le riprese in molti non sapevano chi fossi ma quando hanno visto che impersonavo Ferrari chiedevano di farsi le foto con me”, racconta ancora Girone, che su Mangold dice: “Un grande direttore di attori, con un occhio molto attento, pronto ad accorgersi se dai l’impressione di recitare o se riesci a trasmettere la giusta naturalezza”.

Perché quello che conta, l’obiettivo che condiziona anche l’aspetto tecnico/estetico di un film, come ricorda lo stesso regista, “è sempre cercare la vita interiore di ogni personaggio. Quello che cerchiamo di fare è fotografare il volto umano e percepire la riflessione, il pensiero, le emozioni che lo animano”.

Aspetto fondamentale che accompagna lo sviluppo psicologico dei due personaggi protagonisti, con il pilota Ken Miles "capace di occupare simultaneamente entrambi gli spazi, al lavoro e in pista maniacale, a casa padre e marito presente", spiega ancora Mangold in merito al rapporto tra il personaggio di Christian Bale e il figlio Peter interpretato da Noah Jupe. "Non voglio invitare le persone al cinema e poi dargli una martellata in fronte e il rapporto tra Ken e il figlio è il cuscino su cui poggiare la testa, quando Miles non ci sarà più ma resterà qualcosa di lui nel figlio", conclude il regista.