“Noi possiamo riflettere su cose difficili, delicate, che possono colpire i nostri pregiudizi nell'intimo, e lo possiamo fare prima delle istituzioni. Non è un film provocatorio, definitivo o contro: è un film con gli altri. Su un argomento del genere non riesco a prendere una posizione, anche se credo che ogni essere umano debba poter decidere della propria vita, del proprio corpo e, eventualmente, della propria fine”. Valeria Golino esordisce alla regia di un lungometraggio (dopo il corto Armandino e il MADRE) e lo fa con Miele, tratto liberamente dal romanzo A nome tuo di Mauro Covacich (Einaudi) e incentrato sul delicato tema del suicidio assistito: “Ho letto il libro tre anni fa, quando era ancora intitolato Vi perdono e firmato con lo pseudonimo Angela Del Fabbro – racconta la neoregista -. La cosa che mi colpì subito fu il personaggio femminile, così inedito per la letteratura e il cinema in Italia, e decisi di prenderne i diritti: all'inizio avevamo paura, soprattutto perché sarebbe stato un film difficile, tanto più perché l'avrei dovuto dirigere io”.
Miele è Irene, nel film Jasmine Trinca, ragazza di trent'anni che da qualche tempo e dietro lauto compenso aiuta le persone che soffrono a farla finita: malati terminali le cui sofferenze intaccano la dignità di essere umano. Le convinzioni di Irene saranno messe a dura prova dall'ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi), un 70enne in buona salute semplicemente annoiato, stanco della vita, che la contatta perché deciso a morire. “Non mi pongo problemi etici quando interpreto un film, quanto meno non quando un film, come questo, ha cose importanti da dire – spiega Jasmine Trinca -. Il personaggio incarna una forte contraddizione, da una parte l'estrema vitalità, dall'altra lo sfinimento: Miele finché funziona è un meccanismo oliato, ma quando interviene la variabile Grimaldi ecco che qualcosa non quadra più”.
Scritto dalla stessa Golino, insieme a Francesca Marciano e Valia Santella, il film – dal 1 maggio in circa 100 sale con Bim e il 17 maggio in cartellone al Certain Regard di Cannes – è prodotto dalla Buena Onda di Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri, insieme a Rai Cinema e in coproduzione con le francesi Les films des tournelles e Cité Films: “Mi piacerebbe avere un metodo – dice ancora Golino – ma non ce l'ho. Tanto caos, qualche appunto, qualche foto, fondamentalmente volevo che il film fosse allo stesso tempo libero e formale, senza fronzoli, con incidenti di luce, spostamenti. Non volevo essere troppo estetizzante, e in questo ho dovuto controllarmi perché tendo ad andare in quella direzione. Ma l'argomento che trattavamo mi proibiva di andare verso l'inutile”. E la tentazione di mettersi anche davanti la macchina da presa? “Mi sono svincolata sin da subito perché il personaggio femminile doveva essere più giovane di me e soprattutto perché ero più curiosa di filmare altro. Riccardo (Scamarcio, ndr) avrebbe potuto interpretare uno dei due personaggi maschili (ruoli poi affidati a Libero De Rienzo e Vinicio Marchioni, ndr), ma anche lì abbiamo preferito di no”. “Anche perché – aggiunge Scamarcio – in questa nuova veste di produttore ho scoperto una tale quantità di lavoro che in due anni e mezzo è stata necessaria per far sì che il film vedesse la luce… Fare un primo film così non era facile, ma è la prova che in Italia si possono fare film coraggiosi, insoliti”.