"Un film per non dimenticare e riportare alla memoria una vicenda che ha segnato un periodo. Un episodio in cui non c'entra solo la Storia, ma anche la vita di semplici ragazza, di vittime innocenti". Così Barbara Di Girolamo presenta Le 13 rose, film da lei sceneggiato per il regista Emilio Martinez Lazaro, in uscita il 28 agosto per Bolero. Ispirata a fatti storici accertati, la pellicola mette in scena il dramma vissuto agli albori del regime franchista da tredici donne spagnole, arrestate e torturate solo perché vicine a idee progressiste e, infine, condannate ingiustamente a morte come capro espiatorio di una rappresaglia contro gli attentati compiuti dalle frange armate della resistenza. Un film che ha avuto più di un problema ad arrivare sul grande schermo in terra iberica, perché, come spiega il co-produttore italiano Roberto Di Girolamo, "veniva 35 anni dopo la caduta di Franco e si temeva che i giovani non volessero più sentir parlare di queste storie". Dopo essere stato abbandonato dalla major cinematografica che doveva portarlo nelle sale, Le 13 rose ha però trovato una distribuzione spagnola e la buona accoglienza del pubblico: "Abbiamo avuto un milione e mezzo di spettatori e varie candidature ai Goya - continua infatti Di Girolamo -. La società americana vedeva nel film una produzione importante, ricca di costumi e ambientazioni ben ricostruite, ma non vedeva il calore di questa storia". Una vicenda che però in molti "hanno cercato di insabbiare", come ricorda una delle protagoniste della pellicola, Gabriella Pession. "Quando Carlos Fonseca, l'autore del libro da cui è tratto il film, ha riportato alla luce questa vicenda, ci sono state tante polemiche, perché non a tutti faceva piacere ricordare un episodio del genere, in cui sono state coinvolte praticamente delle bambine. In Spagna forse c'è ancora qualcuno che pensa che il regime di Franco non possa aver fatto cose così terribili", incalza l'attrice, secondo cui le vittime raccontate nel film "non erano mosse da ideologia politica, ma dalla solidarietà" e furono prese di mira "perché erano donne in un'epoca di maschilismo, che rendeva più facile azzittire la loro voce". Una prepotenza che ne Le 13 rose ha il volto perfido di Adriano Giannini, impegnato nei panni di un subdolo commissario franchista: "Oltre a prepararmi sul periodo storico, che non conoscevo, ho lavorato soprattutto sul personaggio, per dargli un'ambiguità sessuale, erotica. Era un ruolo molto forte, al limite della macchietta, quindi bisognava lavorare per sottrazione", rivela l'attore, che si è trovato molto bene a lavorare con la troupe spagnola, capace di "rendere semplice un set molto complicato".