“Non avevo nessuna conoscenza della musica classica indiana, ma poi ho scoperto molti aneddoti e storie affascinanti su questi guru, musicisti complessi, personaggi eccentrici. E ho studiato molto, ho letto tantissimi libri, un percorso durato un paio d'anni, un viaggio lungo tutto il paese dove ho incontrato e intervistato molti musicisti”.

Chaitanya Tamhane torna al Festival di Venezia sei anni dopo Court (che gli valse il Leone del Futuro per la migliore opera prima e il Premio Orizzonti) e porta in concorso The Disciple.

The Disciple - Credits Zoo Entertainment

"Alla luce dei suoi legami con la mitologia, la spiritualità e un sapere misterioso, fede è la parola chiave per la maggior parte di coloro che praticano questa musica. La fede è ciò che li spinge a dedicare l’intera vita a padroneggiare questa complessa forma d’arte. Ma poi, ci sono la vita e i suoi accadimenti. La storia ha preso forma nella mia mente a partire dall’esplorazione di questi temi. Sebbene ambientata nel caos di una Mumbai ipermoderna, trovo che il conflitto che la governa si applichi, nella sua essenza, su scala universale. Tutti abbiamo diritto alla vita e non abbiamo alcuna alternativa se non adattarci e sopravvivere", dice ancora il regista.

Primo regista indiano a tornare in concorso alla Mostra dopo quasi 20 anni. All'epoca, nel 2001, Monsoon Wedding di Mira Nair vinse il Leone d'Oro (con Nanni Moretti presidente di Giuria).

The Disciple racconta la storia di Sharad Nerulkar (Aditya Modak), ragazzo, poi uomo che ha consacrato sé stesso a un obiettivo: diventare un interprete della musica classica indiana. Una ricerca che dura tutta la vita, in cui solo pochi riescono. Iniziato dal padre a una tradizione millenaria, insegue il suo sogno con sincerità e disciplina, impegnandosi incondizionatamente nel suo percorso artistico.

Cercando strenuamente di padroneggiare la sua arte ai massimi livelli, Sharad si fa strada all’interno dei misteri e dei rituali sacri delle leggende musicali del passato. Ma con il passare degli anni, Sharad dovrà confrontarsi tanto con la complessa realtà della vita nella Mumbai contemporanea, quanto con il percorso che ha scelto, che lo condurrà a trovare la sua voce autentica nella musica e nella vita stessa.

“Insieme ai miei collaboratori abbiamo ragionato su come scegliere l'attore principale –racconta ancora il regista –. Doveva essere esperto della musica, difficile da replicare, doveva rispecchiare la descrizione fisica del personaggio, doveva saper parlare marathi: abbiamo fatto moltissime audizioni. Aditya non rispecchiava pienamente il personaggio dal punto di vista fisico, ma aveva tutte le altre caratteristiche, quindi ha fatto un grande lavoro per avvicinarsi all’idea che avevo di Sharad”.

Cantante e attore, Aditya Modak dice che “quell'amore che il personaggio nutre per la musica è anche il mio. Sharad si basa su di me, sulla mia vita. Sono 20 anni che lavoro sulla musica classica ed è un processo di apprendimento continuo, che comporta sacrifici, ma è un tipo di musica che ti permette di conoscere te stesso. Questo mi ha aiutato molto per mettere in scena quello che voleva il regista”.

Aditya Modak, protagonista di The Disciple - Foto ASAC_ by Giorgio Zucchiatti

Tre archi temporali, con Mumbai coprotagonista del film: “Sono nato e cresciuto a Mumbai, città che ha le caratteristiche di tutte le metropoli del mondo ma al contempo ha un sapore molto particolare, unico, e ha un ruolo molto importante nel definire le insicurezze, le aspirazioni degli individui. In qualche modo spiega il personaggio, perché si tratta di sopravvivere, in una città che cambia sempre ma che custodisce un contesto culturale molto forte. Un grande conflitto, che ho voluto portare a galla”, dice ancora Chaitanya Tamhane.

Per The Disciple ha avuto nientemeno che Alfonso Cuarón come produttore esecutivo: “Ci siamo conosciuti in occasione del programma Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative. Sono stato scelto da lui, ho osservato il modo in cui lavora, ho assistito alla postproduzione dei suoi film, siamo diventati amici. Mentre scrivevo la sceneggiatura mi ha dato alcune idee, un appoggio continuo, supporto per il post editing, ha detto di credere molto nel film. E siamo tutti molto grati del supporto ricevuto da uno dei più grandi cineasti al mondo”, racconta il regista.

https://youtu.be/-S-N6-Bfv84

Che conclude tornando sull'oggetto principe del suo film, i raga indiani: "C'è chi ritiene sulla base di alcuni testi antichi che sia una musica che si tramanda da 5.000 anni, chi non conosce questa sottocultura si pone molte domande, molti credono sia una cultura di nicchia ma invece è una forma d'arte che si evolve, si sviluppa sempre, influenzata da diversi tipi di musica del Nord dell'India, col risultato che non è nulla di statico ma sempre in mutamento. Gli stessi Beatles, ad esempio, ne sono rimasti impressionati. Prima del XX secolo era una forma d'arte prevalentemente maschile. Dopo l'indipendenza è diventato comune aprire l'insegnamento anche alle donne e sono contento che oggi non ci si ponga più neanche questo tipo di domanda".